The battle of evermore
LED ZEPPELIN ( IV )
@ ECHI TRA NOI
“ Dobbiamo o trovare una strada, o costruircene una….” ANNIBALE.
Nelle tenebre.
Passi lenti, ma decisi, lungo la via. Ad ovest le illuminate lagnanze di un temporale. Ritmi indiani che scandiscono il passo dell’uomo. Il cuore batte con estrema regolarità. Tre cose nota il suo sguardo: non è tardi, l’orologio della chiesa segna le cinque, perfettamente lucido; il pub era chiuso; la stanza dei fili.
Il proprio passato?
‘ …Perché fai questo, chiamiamolo – lavoro. Le stagioni si alternano regolarmente le une alle altre; i confini dell’immaginario, del sacro e dell’improvvisazione, anche ‘.
‘ Bhe, cos’è questa lagna IO, non eravamo d’accordo di metterci l’anima in pace? Lo fai e basta. In fondo ti diverte ‘.
Il gigantesco mantello nero volteggiava nell’aria creando un proprio seguito d’ombre e grottesche creature. Il vento lo plasmava di continuo, ma nulla di più poteva. Suonavano i Jethro Tull, la colonna sonora di questa notte di lavoro. Note cariche, pezzi di metallo roteanti in grado di abbordare i pensieri. Note corsare, libere di spaziare e generare dimensioni. Avanzava regolare lungo la via. Avanzava col passo di chi sa dove andare, nonostante le apparenze e i possibili dubbi della mente. L’istinto si era trasformato in un qualcosa di più vicino all’enorme capacità olfattiva di un Tirannosauro di – sentire - la preda. Darwin come se lo sarebbe potuto spiegare, se non con una fragorosa risata liberatoria.
E’ notte, ancora una volta. Dal catrame umido s’alzano vapori estivi che come un guanto, avvolgono perfettamente, inebriando. E odori tra i più strani, o meno antichi, quanto mai singolare simbiosi tra il naturale e l’artificiale. Dalle locandine pubblicitarie affisse ai muri, miriadi d’occhi e situazioni assistono al passaggio delle tenebre, immobili ed atrocemente congelati nella propria fissità. Sottili giochi di penombre riempiono quel silenzio così imperante. Brusii lontani di motori ricordano il canto delle sirene d’Ulisse. L’immaginazione è libera di scatenare allucinazioni, prendendo a pretesto le paure e le angosce e i - mostri all’angolo della strada - attendono famelici. I giganti addormentati celano nel folto fogliame squarci di luna e stelle ed intere galassie. Altri, di cemento, hanno occhi e bocca sbarrati; celano tremendi segreti. Sono i custodi, la memoria materiale di tutto ciò che avviene al loro interno. Ora tacciono.
‘ Se il tempo avesse una coscienza, crederei che ora si stia divertendo ‘ pensò l’ombra, seguendolo nelle forme di vento, alle prese con un giornale, lasciato sotto una panchina, sfogliandolo in un senso e poi nell’altro, brandendone pezzetti e logorandone i contorni. Spingendolo e calpestandolo con forza mutevole. ‘ Che cucciolone, quel gran bastardo! ‘
‘ Ahh, la tua è solo invidia. Voglio affermare che se possedessi quel genere di potere te ne infischieresti di tutto, no?! Anche del lavoro e faresti la stessa identica cosa, ti divertiresti …se avessi un’anima tua, voglio di…’
“ FOTTITI IO! ” - proruppe con rabbia, mostrando nel buio denti candidi come neve. Alzò lo sguardo verso la luna, emergendo il viso dall’ombra del cappello e mostrando le proprie orbite vuote.
La sua figura, nel buio, era solo immaginazione. Fantasia. Si poteva intravedere, ma il tempo di un respiro, di un battito di ciglia e PUFF… non si era più sicuri di niente. Pura leggenda mai passata di moda. Non che sia questo un motivo di rammarico, giacchè incontrarlo avrebbe significato cambiare per sempre, oppure, chissà, illudersi di tornare a credere in qualche cosa. Eppure la sola presenza bastava a dare un valore alle cose. Ad aprire gli occhi, magari, per poi richiuderli per sempre subito dopo.
La pozza notturna era, ora, continuamente rischiarata da bagliori, ancora lontani. Come durante la Grande Guerra, ricordò, immaginando gli scoppi dei bombardamenti. Più vicini ad un’esplosione d’ira divina che a piccoli ordigni costruiti dall’uomo. Quante membra avranno tremato al suono assordante di una bomba in caduta libera, temendo l’arrivo della Grande Sorella, temendo il fragore del boato, temendo che ogni respiro potesse essere l’ultimo, temendo per la propria prole addormentata o nascosta tra le braccia racchiuse, tremando …. ‘ cosa pensano le anime durante il proprio viaggio di ritorno ? ‘ Un brivido lo colse improvviso, quasi inspiegabilmente. Da quanto non aveva più assaporato una tale sensazione ? Difficile dirlo, difficile pensarlo.
Ed intanto avanzava. Avanzava regolare come una nave rompighiaccio. I neri stivali marciavano sull’asfalto bagnato e granuloso, ricordando gli ordinati martelli nazisti di ‘ The Wall ‘. La luna artificiale della torre campanaria s’elevava oltre le case, simile ad un occhio indagatore, talmente superbo ed inconsapevole di essere alla vista di ognuno. Le cinque e dieci. Notte fonda e, comunque, ancora presto per abbandonare gli affari, del resto mai andati così a rilento. Una pesante goccia s’infranse in uno specchio d’acqua generando il caos assoluto. Contemplando il veloce ritorno alla normalità, egli si vide materializzare, per un breve istante, prima di attraversarlo con il proprio peso. E la brezza, la brezza erosiva e delicata portatrice di deja vu e suoni impenetrabili e odori così come profumi di terra e di mare e di uomini e, ancora, d’energie bruciate e da bruciare. La brezza calda umida, sapiente massaggiatrice ed adulatrice, persino, divertita. Le vetrine, in quel tratto di via, molto numerose, si susseguivano lanciando moniti ben precisi. La loro capacità di riflettere chi gli si presentasse davanti era un’arma veramente astuta, capace di distogliere le volontà, confondere le decisioni già prese, intrappolare la mente tramite sottili giochi di prestigio. Ora, il riverbero dei fulmini, appariva affine al tessere, instancabile, di Penelope o ad una ragnatela eretta nell’arazzo vaporoso del cielo. Oltre a quell’immagine veniva quella di IO, ora impavida, ora dubbiosa. Il viso, seminascosto, era un mare spazzato dal vento. Un’introiezione di sembianze. Come se avesse rinchiuso le apparenze d’ogni uomo. A ben guardare era se stesso, che un ipotetico transitante avrebbe visto fissandolo con senso delle cose. L’immagine riflessa, sempre più grande, all’inverosimile, girò l’angolo abbandonando la via.
Ad un tratto provenì dalle vicinanze un rumore soffocato, come solo una preda poteva provocare.
Sogghignò, scintillando di luce propria e correndo via con il vento, sparì nel buio. Ora i passi avevano lasciato il posto ad una sensazione. La mai certa sensazione di un battito come di ali a solcare quegli spenti edifici ……. Incominciò presto a piovere, sottilmente.
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