La coerenza è un atteggiamento.
Si può pensare che sia una “qualità”, in qualche modo, dispersa nell’aria. Che qualcun3 respira, mentre, qualcun altr3, no. Cioè, si può pensare alla coerenza come a qualcosa di casuale, di stranamente meritori3, di assegnat3 da dinamiche sconosciute e da logiche quantomeno misteriose.
Invece, sostanzialmente, la coerenza “è”… uno stato proprio interiore, a livello universale (potenziale).
Qualche “rigo di codice”, di programmazione? Qualche configurazione neuronale o lascito ereditario genetico? Il frutto dell’esperienza tua, “tua” e consanguinea? La conseguenza interna di una compressione esterna?
Perché (quando) una persona è definibile come “coerente”?
In seguito a quali azioni? Secondo quale prospettiva? Attraverso quale “morale (riferimento)”?
È la distanza temporale, tra il “detto e fatto”, che permette di delineare sostanzialmente la figura altrui.
È il proprio comportamento (“fatto”) nell'atteggiamento coerente con il “detto”, che ricava “per contrasto” il rilievo della in-coerenza.
Ma, come al solito, “qua, così” una persona può essere – allo stesso tempo – coerente ed incoerente, rispetto ad una serie infinita di “valori (riferimenti)”.