venerdì 8 gennaio 2010

Ciascuno a suo modo.








Quando penso ai nomi indistinti, all’ombra di quelle “famiglie” che sembrano detenere il potere da sempre sulla Terra, percepisco qualcosa che va oltre all’umano. È come se sentissi freddo e visualizzassi il pianeta dallo spazio circostante, sentendolo come… pervaso da una specie di tremito, di malattia degenerante. La nostra stupenda Madre Terra è stata fatta oggetto di un “insediamento” di una energia di tipo virale, potenzialmente nociva per l’intero ecosistema che vi alberga sin dalle origini, umanità compresa. Il genere umano si è trasformato nell’agente patogeno per il pianeta. Tuttavia ciò che anima le “disfunzioni” ghiandolari dell’umanità è un qualcosa di “alieno” all’umanità stessa; qualcosa che ha preso il sopravvento nella scatola di comando dell’umanità, ma che con essa non condivide i principi esistenziali. Qualcosa che sapeva e che ha “approfittato” della situazione. Qualcosa che pur essendo “alieno” all’umanità non è altro che il suo riflesso degenere; un figlio non riconosciuto che torna per vendicarsi e per sopravvivere. Tutti i mali dell’uomo risiedono nell’uomo stesso. Se l’uomo tramite il proprio comportamento “lascivo”, permette, attira a sè le “attenzioni” altrui, è solo l’uomo la causa del proprio male. Osserviamo i frattali minori per comprendere quelli maggiori. Visualizziamo in questo senso, cosa succede all’uomo quando non vive in equilibrio. Attira a sé le attenzioni dei virus perché è come se, vivendo “male” l’uomo stesso preparasse loro una bella casetta accogliente, un habitat idoneo alla loro sopravvivenza e prolificazione. Ma la causa della malattia, sappiamo non essere la presenza del virus, bensì proprio il disequilibrio stesso albergante nell’inconscio umano. Questo è un esempio di frattale minore, il quale permette di interpretare le dinamiche più grandi, i frattali maggiori appunto. Dunque un certo tipo di “virus” è stato attirato sul pianeta, avendo riconosciuto un ecosistema adatto al proprio insediamento ed una colonia indigena presente in loco adatta allo “sfruttamento”. Questo virus non è qualcosa di ben definibile. È piuttosto una sorta di energia che potrebbe sfruttare il corpo del virus come dimora temporanea. Il virus stesso non sarebbe che il sintomo del “male”, e questo costituirebbe un nuovo frattale che rispecchierebbe e valorizzerebbe la legge degli specchi, ossia che tutto ciò che ci sta attorno riflette solo ed esclusivamente noi stessi. Ciò vorrebbe significare che il “virus” è una forma di vita a sua volta in disequilibrio che ha attirato a sè ciò che le proprie paure hanno magneticamente “ordinato”. E così via in una ciclicità senza fine. La vera causa è localizzabile dunque nella paura. La paura è cibo per un certo tipo di “energia”. Ora, in questo periodo storico, questa energia di paura è manifesta sulla Terra, tra di noi. Attirata da noi, dalla nostra disarmonia. È qua. Non lo scrivo per alimentarla ma per evidenziarla. Ella è qua. Ella necessita di essere aiutata a comprendere se stessa al fine di trasmutarsi in luce. Tutto nel creato segue questo desiderio inconscio. Tutto ha sete di “luce”. Ma sino a che l’uomo non trasmuterà le proprie paure, questa energia non riuscirà a vincere la sua sete trasfigurata nel suo opposto, molto più facile da raggiungere. La figura del vampiro la descrive molto bene. Il vampiro è nei film raccontato come un essere nobile che è caduto in disgrazia mentre perseguiva l’amore. C’è come una sorta di malinteso nella sua caduta. Un malinteso figlio di una disarmonia di base; quella di volersi fondere totalmente, di volersi perdere in un abbaglio di amore, in un suo piccolo riverbero, di morire addirittura per amore. In questa disarmonia di base sia attua la caduta, si spalancano le porte per l’invasione delle forze oscure che cavalcano virus senza memoria di sé, a loro volta vittime del proprio malessere esistenziale. Chi è vittima e chi colpevole in questo meccanismo? Guardiamo attentamente il cartoon “A bug’s life”, nel quale si descrive la vita ordinata e “monotona” di un formicaio sotto scacco di una piccola comunità di grosse cavallette predatrici. Il capo di queste cavallette si chiama Hopper. Costui ha ben chiara in mente la giusta modalità per mantenere quel “megaminimondo” sotto controllo, tramite l’intimidazione e la paura. È veramente profonda la sua disamina della situazione, dopo un primo storico tentativo di ribellione, subito sedato, di una piccola formichina di nome Flik. Le cavallette nell’attesa di tornare alla comunità delle formiche, si godono i piaceri che derivano dai loro saccheggi, mentre qualcuna di loro inizia a chiedersi perché debbono tornare sempre in quella piccola “isola” popolata dalle formiche. Allora Hopper irrompe nella scena facendo finta di assecondare quel proposito lascivo, frutto dell’abbondanza temporanea di cibo, ma mostrando poco dopo il vero lato nascosto della sua strategia di oppressione altrui:

“Ma c’è quella formica che mi ha tenuto testa” – dice Hopper ancora trattenendosi.
“Ha si, ma possiamo pure dimenticarcela” – dice una grassa cavalletta.
“Certo, era una sola formica” – rimarca l’altra cavalletta ridendo di gusto e facendo esplodere Hopper…
Se lasciate che una sola formica ci tenga testa, allora tutte ci terranno testa. Capite? Quelle meschine formichine ci superano in numero di 100 a 1 e se mai dovessero accorgersene, addio al nostro stile di vita! Non si parla di cibo, si parla di tenere quelle formiche in riga. Perciò noi ritorniamo la!”.

Ecco spiegato ciò che accade sul pianeta. Le “cavallette” sono un frattale minore che descrive benissimo le “cose”.

C'è anche un riferimento al tema hegeliano della contrapposizione tra signoria e servitù. Il concetto espresso da Hegel che la signoria per essere riconosciuta come tale ha il necessario bisogno del riconoscimento da parte della servitù si esprime nella frase di Flik al capo delle cavallette: " Le formiche non sono serve delle cavallette, siete voi che avete bisogno di noi ". 
"Le formiche non sono fatte per servire le cavallette!!! E tu lo Sai Hopper, non è vero?" (Filk a Hopper). 
Fonte: Wikipedia

La fine del cartoon vede la comunità di formiche aprire gli occhi e liberarsi dell’oppressore, ma solo dopo avere avuto uno spunto eroico da parte di Flik. Solo a quel punto la paura svanisce e l’intero popolo diventa una sola cosa, come si vede chiaramente nelle immagini. Le cavallette spariscono all’istante a loro volta temendo, provando paura. Come se la paura fosse un testimone scomodo da passarsi senza fine di opera. No, non deve essere così. Non possiamo prosperare alle spalle di altri. È il paradigma che deve cambiare. Le paure devono trasmutarsi per interrompere il ciclo della perpetuazione del “male”. Il “male” stesso, l’ignoranza della luce, lo richiede ed attende quel momento in cui potrà finire il proprio ingrato “lavoro”. A noi è demandato il grave compito di interrompere la catena del buio, tramite un cambiamento profondo del nostro essere.

"Durante i titoli di coda è possibile vedere delle scene aggiuntive, come se i personaggi animati fossero veri attori che commettono errori". 
Fonte: Wikipedia

Ciò non corrisponde solo ad un gusto marcato ed originale dell’arte di far sorridere, ma esprime il concetto che siamo tutti “attori” in questi nostri cicli di Vita incarnata al fine di fare esperienza. Ognuno di noi è stato vittima e carnefice. Solo così possiamo comprenderne le differenze, perché tali differenze rimangono in noi, registrate nel karma, nel nostro corredo genetico, nel nostro “libro” personale, nell’Akasha, etc. Il modello evolutivo della creazione è il frattale maggiore. Sulla nave scuola Terra siamo tutti attori in cerca di opportunità di crescita.

"Sei personaggi in cerca d'autore è il dramma più famoso di Luigi Pirandello. Esso fu rappresentato per la prima volta il 9 maggio 1921 al Teatro Valle di Roma, ma in quell'occasione ebbe un esito tempestoso, perché molti spettatori contestarono la rappresentazione al grido di "Manicomio! Manicomio!". Fu importante, per il successivo successo di questo dramma, la terza edizione, del 1925, in cui l'autore aggiunse una prefazione nella quale chiariva la genesi, gli intenti e le tematiche fondamentali del dramma. È considerata la prima opera della trilogia del teatro nel teatro, comprendente Questa sera si recita a soggetto e Ciascuno a suo modo".
Fonte: Wikipedia

giovedì 7 gennaio 2010

Le immagini di noi.








In questo 2010 la mia intenzione, il mio obiettivo, la mia "immaginazione", seguirà risolutamente la via della responsabilità nei confronti della nostra “società” globale. Che l’insieme di persone che abitano il pianeta sia una collettività, penso non ci siano più dubbi. Lo si intuisce dal frattale della tecnologia e dello stile di vita “imposto” o caldeggiato dalle forme pensiero, dal paradigma in auge, dal “sentimento” filo possessivo in termini assolutamente materiali. Ad ogni latitudine l’uomo è stato programmato a pensare in maniera molto simile e, tranne alcune e sparpagliate “sacche” intatte di biodiversità, il modello parla oramai una lingua universale. Cellulari, computer, modelli d’intrattenimento più o meno ludici e “passivanti”, automobili e motociclette, lavoro ad ogni costo, sogno di avere una casa di proprietà, divertimento leggero, voglia di vacanza e di staccare, ritmi sempre più indiavolati, etc. Così come anche i problemi sono diventati globali, come ad esempio l’inquinamento in ogni sua forma, la rumorosità, la frenesia, lo svuotamento dei valori personali, etc. Non è proprio possibile, insomma, sostenere che non si viva in una enorme ed unica comunità. E tutto ciò a dispetto di quello che pensiamo inconsciamente e cioè, che non consociamo nemmeno il vicino della porta accanto. Nella ritenuta solitudine viviamo forse il più grosso ed evidente problema della Terra: la paura di rimanere soli, di essere soli, che nessuno s’interessi a noi, nemmeno Dio. Non troviamo più sollievo nemmeno nelle forme religiose, dalle loro immagini pubbliche completamente “sfatte” ed improponibili. Le persone dicono di essere credenti perché fa loro “comodo”, e scrivo questa frase con il massimo rispetto di quei pochi che sono invece assolutamente immersi, anima e corpo, nel contesto di credo abbracciato. Rispetto queste anime perché l’illusione è per essi talmente forte da condurli perlomeno alla coerenza esistenziale tra il dentro ed il fuori, tra l’essere e l’apparire. Dunque, viviamo la collettività espansa al suo massimo livello dimensionale; comprendere questo “fenomeno” è già fare un passo in avanti nel processo "d’apertura" personale. I problemi non sono mai univoci ma globali e compreso questo aspetto della realtà, l’uomo dovrebbe iniziare a “sentire” una certa condivisione, se non di valori almeno di problemi, con il vicino di casa. Il motto “dividi ed impera” è stato tremendamente efficace nel corso della storia. Oggi ognuno di noi è il diretto risultato, il prodotto, di questa temibile “strategia”. Costretti ad interessarci del “giardino” di casa nostra, invidiando quello del vicino, lottando per avere la meglio sui problemi personali, scappando dalle cause comuni, ritenendoci soli ed in guerra con l’intero genere umano, pensando ad arricchire il “guardaroba”, gongolando sui problemi di tre quarti del pianeta, ritenendo i propri figli come una sorta di proprietà privata, utilizzando l’intelligenza a fini “bellici”, annullando ogni impulso spirituale, schiacciando le diversità, etc. la collettività è stata indotta a ritenersi “sola”. Abbandonata anche dalle istituzioni pubbliche, civili, sociali, religiose. L’uomo si lamenta sempre. Manifesta all’interno delle proprie case tutto il proprio disgusto per questa società, nella quale ogni mattina deve per forza ributtarsi per “guadagnarsi” da vivere. Ogni giorno sempre uguale. Trascinandosi verso la sera. Issandosi nel mezzo della giornata sullo scranno del pranzo “rigeneratore”. Tra mille ansie e difficoltà, problemi e vicissitudini, incontri e scontri… non è facile vedersi in questa maniera! Per niente facile, infatti non ci si vede proprio in questo modo. Ci si immagina “diversi” perlomeno nel tentativo di apparire agli altri. Ma quando in privato si fa una analisi personale del come ci si sente veramente, questa immagine "astratta" vacilla pericolosamente; la frequenza di vacillamento è determinata dalla cadenza dei problemi che si “abbattono” su di noi. In assenza di problemi la Vita che conduciamo sembra accettabile e siamo, come dire, sollevati. In presenza di problemi il panorama s’increspa pericolosamente, conducendo la persona verso un contrasto interno di “immagini” o effetto sfarfallio del proprio sé.
Agganciamo il seguente punto: ci si immagina diversi dal come si è “costretti” a vivere.
L’immagine di noi stessi che ci siamo costruiti, dunque non si sovrappone, non descrive a pieno, non rispecchia il modello di Vita in cui si è inseriti. La Vita viene condotta e “digerita” tramite lo sviluppo della volontà; volontà di andare al lavoro (ci si abitua perché sembra che non abbiamo alternative). Volontà in questo caso equivale a “sforzo” di volontà. È chiaramente una coercizione, un “fatto” imposto dalle regole, dalle consuetudini sociali. Il lavoro è un obbligo al quale non possiamo dire di no, perché altrimenti siamo considerati dei “diversi” dai nostri stessi “fratelli”. Colui che non lavora è una persona sospetta. Come fa a campare quello li? Ci si domanda. In questo modo nemmeno le immagini che ci siamo costruiti di noi stessi, non ci appartengono veramente. È una crisi di identità vera e propria. Il nostro mondo interno non è più a solo appannaggio nostro, ma è stato violato da oramai molto tempo. L’Antisistema vi è penetrato inesorabilmente, perché “egli” è nato da noi e conosce la strada per entrare ed uscire a proprio piacimento. Questo “potere” sa che noi siamo scintille divine e, perciò, ha diluito al massimo la nostra capacità creativa, il mondo delle immagini, mirando direttamente ai gangli di emanazione di un simile potenziale di co creazione della realtà. Non avendo nemmeno la piena padronanza di noi stessi a livello immaginifico, la volontà ben poco serve per realizzare i nostri sogni. Abbiamo in questo senso le “armi” spuntate, le facoltà lenite, drogate, ipnotizzate, sotto incantesimo. Non sappiamo più chi siamo, perché siamo qua e cosa vogliamo. Al posto degli “intenti” originali subiamo prima uno svuotamento, come se avessimo subito una lobotomia, e poi un’opera di sostituzione dell’originale con un insieme di paccottiglia informe senza energia:

“La lobotomia è un intervento di psicochirurgia conosciuto anche come lobectomia o leucotomia. Consiste nel recidere le connessioni della corteccia prefrontale dell'encefalo. Può essere eseguita con la variante dell'asportazione o distruzione diretta di esse. Il risultato più riscontrato è il cambiamento radicale della personalità. La lobotomia era usata in passato per trattare una vasta gamma di malattie psichiatriche come la schizofrenia, la depressione, la psicosi maniaco-depressiva o disturbi derivati dall'ansia. Oggi la lobotomia viene praticata, in una forma meno distruttiva e più selettiva, in casi di epilessia se il paziente è farmaco-resistente, e prende il nome di: leucotomia temporale anteriore”.
Fonte: Wikipedia

Lo schema da avere sempre presente è questo:

  • il nostro potere di co creazione è legato all’immaginazione
  • siamo controllati già a questo livello interno, perché la volontà non è sufficiente a vincere sull’immaginazione (il controllo non poteva limitarsi al livello della volontà)
  • pertanto l’immaginazione doveva essere “deviata”
  • per questo ogni bambino è un pericolo per questo “potere”
  • per questo ogni bambino viene sottoposto a “lobotomia” tramite le più svariate tecniche (vaccini al mercurio, corpo della madre intossicato, scuole senza senso, alimentazione sottosopra, mancato allattamento materno, televisione, etc. )
Quello che vorremmo fare ed essere nella Vita si adegua al paradigma in corso; essere “qualcuno” significa fare carriera, fare denaro, “contare” per questo motivo. Dentro di noi non c’è una sola immagine che ci rappresenta, ma diverse e, tra queste, c’è quella ideale di noi stessi. Quella più “pura” o vicina alle nostre origini. Questa immagine serve occasionalmente per confrontare il nostro stile di Vita attuale a quello ideale. Ebbene quando ci decidiamo a fare o “sentire” questo confronto, entriamo irrimediabilmente in crisi. Ecco che allora i cosiddetti problemi servono proprio per condurci con le spalle al “muro” e per indurre uno stato interno di “dubbio”. Il dubbio di questo tipo è diverso dal dubbio che ci vede protagonisti nelle scelte e nelle decisioni esterne quotidiane. Non si tratta di scegliere il colore delle pareti della cucina, ma di discernere tra due cammini esistenziali molto diversi. L’Antisistema va per questo motivo temuto e ringraziato. Egli rappresenta la “porta”; una porta che conduce verso la manifestazione del “nostro” volere in ogni caso. La differenza è tutta nella modalità con la quale la “affrontiamo”:
  • con paura e dubbio dovute al condizionamento
  • con fiducia e forza rinnovata se risvegliati a noi stessi
Perché quella “porta” rappresenta comunque la manifestazione del nostro volere? Perché solo noi possiamo scegliere “cosa fare”. Ma in uno stato di incantesimo ciò che “facciamo” è indotto da un fattore esterno.
Nel 2010 sarà mio dovere chiarire e perseguire sempre maggiormente questo messaggio di denuncia e risveglio globale. I tempi sono maturi. Il tempo è “tra di noi”.

“La felice intuizione del Prof. Couè sta in questo: non è la volontà che può mettere in moto le enormi forze subcoscienti che sono dentro di noi, ma la nostra immaginazione. Ma Couè scoprì un altro fatto con le sue acute osservazioni: la passività, l’incapacità di resistenza manifestata dal soggetto suggestionato o ipnotizzato non era la conseguenza della lotta tra lui ed il suggesionatore, come tutti i praticanti hanno ritenuto finora, ma doveva essere la conseguenza della lotta tra l’immaginazione e la volontà del soggetto, e scoprì che, in questa lotta, la volontà soccombeva sempre, senza nessuna eccezione. Anche nella Vita ordinaria, del resto, possiamo osservare in ogni istante questa lotta e la medesima sconfitta della volontà. Se soffriamo d’insonnia, il pensiero di non poter dormire e lo sforzo per riuscirvi (ricorso alla volontà) ci renderà più agitati, più nervosi, allontanando sempre più il sonno desiderato. Se noi invece ricorreremo all’immaginazione, ripetendoci dolcemente: “Io dormo, ora dormo, io posso dormire ecc.”, il sonno non tarderà a calare sulle nostre palpebre. È da questa importante scoperta che il professor Charles Baudouin dell’Università di Ginevra, discepolo di Couè, ha tratto la legge dello sforzo convertito

“Quando una idea si è impadronita della nostra mente al punto da farne sprigionare una suggestione, tutti gli sforzi coscienti fatti per resistere a questa suggestione non servono che a rafforzarla”. 
L’altra legge importante formulata dal professor Baudouin è quella della finalità subcosciente, per la quale: 
“In ogni suggestione, dopo che si è pensato al fine che si deve ottenere, il subcosciente si incarica di trovare da sé i mezzi per realizzarlo”.
Fonte: “Il dominio di se stessi” di Emile Couè


mercoledì 6 gennaio 2010

A mio padre.






























Avete presente una qualsiasi storia che narra di fate e magia?
Avete presente le scintille provocate dall’agitarsi della bacchetta magica?
Ebbene, mio padre era per me come una di queste scintille…
Un nobile battito di vita,
una doppia elica coerente sino alle radici più nascoste,
        una primavera fiorita,
            un giocatore rispettoso dell’avversario.
 

Il mio pensiero intende raggiungerlo e ringraziarlo per ogni cosa.
La mia preghiera è energia della sua stessa natura.
Il mio ricordo non è un sentiero senza uscita,
è più una incisione che unisce due mondi divenuti diversi;
una sovrapposizione di speranza di ritrovarsi.

Al di là di tutto questo,
nascerà un nuovo mattino in cui ogni tempo sarà presente.
Oh! Gioia di una saggezza maturata con troppo ritardo.
   
Penso di sapere dove si possa trovare in questo momento: felice tra di noi.