mercoledì 16 marzo 2016

La free energy de’ noantri (5)


Quando la "free energy" è... l'effetto.
Se leggi SPS da tempo sufficiente, ti sarai accorto/a di alcuni aspetti fondamentali della realtà manifesta, nella quale sopravvivi. Ad esempio:
  • la bio/diversità? Non esiste, sostanzialmente
  • la ciclicità? È solo una conseguenza
  • la free energy (il moto perpetuo)? Una diatriba che lascia il tempo che ritrova. Essa esiste e non esiste, allo stesso tempo. Da cosa dipende? Dalla tua prospettiva. Nel senso che “non sei tu a decidere se esiste o meno, ma sei tu a decidere se includerla nella tua vita o meno”. La “tua” decisione dipende, a sua volta, dall’intento dominante. Ergo: esiste la free energy? Sì, se ti è permesso di crederci. Ma, in fin dei conti, che cosa è? È... energia da movimento (quindi, teoricamente, infinita, soprattutto se sei alle prese con enormi grandezze in "scorrimento", che generano effetti collaterali, alias, la free energy).
Che senso ha, per te (a questo “tuo” livello di consapevolezza) se – 1) all’universo serve un innesco, per dare inizio al “movimento”, 2) l’universo “lavora” in perdita energetica e, dunque, 3) l’universo deve rimpinguare la fornitura di energia, visto che costituisce un insieme che disperde/consuma, in luogo di… mantenere/conservare/generare di più, rispetto a quello che “brucia”?
Che senso ha? Se per te, ad esempio, la rotazione della Terra costituisce un fattore sfruttabile per i prossimi 4 miliardi di anni, che senso ha – ora, vivendo tu meno di un secolo – fossilizzarti su tematiche fini a se stesse e sostanzialmente auto immobilizzanti?
Perché riesci (non direttamente, tu) a ricavare energia elettrica dal movimento delle acque (cascate, maree, opere d’ingegneria d’ogni tipo, etc.) e non da quello della Terra?
Tutto è in movimento. Per cui?
    

martedì 15 marzo 2016

La free energy de’ noantri (4)



Come mai non hai un lavoro?”.
Che lavoro fai?”…
Le domande ti inquadrano in maniera esatta, relativamente al “luogo comune” nel quale “sei”. E, “qua, così”, avere un lavoro è… tutto.
Se non “lo hai”, allora “non sei” nessuno. Non sei niente. Anzi, “sei un… senza lavoro, un disoccupato (uno/a che non fa... niente. Un perditempo. Un "buono a nulla")”.
Cioè, il fatto di avere o meno un lavoro, corrisponde ad un serio pregiudizio “collettivo”, sulla tua persona (qualcosa che si espande in ogni direzione e profondità, pretendendo di poterti raffigurare/capire per intero; una sorta di “razzismo” convenzionalmente accettato).
Le famiglie con problemi lavorativi, rientrano nei piani delle “agevolazioni per famiglie disagiate”.
 
Disagio = difficoltà, malessere, etc. Come se fosse una... malattia.

Perché “devi” lavorare? Per quale sottile motivo?
Per guadagnare denaro, nonché, “tempo”. Sì perché, senza denaro non hai nemmeno il tempo per poter sopravvivere, come tutti gli altri. Senza denaro “muori lentamente”, proprio come gli altri.
Ma… lo fai, in modo più “intenso”, andando a misurare la ruvidezza del reale manifesto emerso.
Vai a conoscere quel volto della società, che ti ignora… anche se guardi negli occhi tutte le persone che incontri per strada. Eppure, in oriente – nell’immaginario collettivo occidentale – sono proprio “coloro che rinunciano ad una simile condizione”, che hanno tutto il proprio tempo “liberato”, al fine di riuscire a trovare una via diversa per
  

lunedì 14 marzo 2016

La free energy de' noantri (3)



In “questo mondo, ci devi saper stare ('farti furbo').
In che senso?
In quello che... ti devi adattare per poter sopravvivere? Tutto qua? Si riduce a ciò, l’intero ambito della “tua” esistenza “qua, così”?
È lecito, allora, “semplificare” il tutto, paragonandolo ad una lotta senza fine di continuità e senza nessun “valore”, nemmeno in grado di scalfire la “cortina di ferro” del reale manifesto?
 
Presso gli antichi greci, esisteva il duopolio Atene/Sparta; pressi gli uni, si celebrava l’arte della “mente”. Presso gli altri, quella del “fisico”. Ossia, due espressioni facenti capo ad individui, del tutto identici, ma “diversificati per luogo di nascita (manifestazione)”:
  • era, infatti, “sufficiente” nascere qua o là (ed essere valutati “abili”, direttamente al momento dell’arrivo alla luce del Sole)
  • al fine di divenire “ateniesi o spartani”
  • assumendo, nel tempo auto educativo, la valenza una o altra.
Ma, prestandosi a questo, “dove andava a finire il cosiddetto ‘libero arbitrio’ individuale”? Dove… la relativa sovranità? Secondo quale “intento”, i neonati venivano destinati verso una precisa “direzione”?
Oggi, non è diverso. Se ci pensi bene, non è cambiato niente…