“Come mai non hai un lavoro?”.
“Che lavoro fai?”…
Le domande ti inquadrano in maniera esatta, relativamente al “luogo comune” nel quale “sei”. E, “qua, così”, avere un lavoro è… tutto.
Se non “lo hai”, allora “non sei” nessuno. Non sei niente. Anzi, “sei un… senza lavoro, un disoccupato (uno/a che non fa... niente. Un perditempo. Un "buono a nulla")”.
Cioè, il fatto di avere o meno un lavoro, corrisponde ad un serio pregiudizio “collettivo”, sulla tua persona (qualcosa che si espande in ogni direzione e profondità, pretendendo di poterti raffigurare/capire per intero; una sorta di “razzismo” convenzionalmente accettato).
Le famiglie con problemi lavorativi, rientrano nei piani delle “agevolazioni per famiglie disagiate”.
Disagio = difficoltà, malessere, etc. Come se fosse una... malattia.
Perché “devi” lavorare? Per quale sottile motivo?
Per guadagnare denaro, nonché, “tempo”. Sì perché, senza denaro non hai nemmeno il tempo per poter sopravvivere, come tutti gli altri. Senza denaro “muori lentamente”, proprio come gli altri.
Ma… lo fai, in modo più “intenso”, andando a misurare la ruvidezza del reale manifesto emerso.
Vai a conoscere quel volto della società, che ti ignora… anche se guardi negli occhi tutte le persone che incontri per strada. Eppure, in oriente – nell’immaginario collettivo occidentale – sono proprio “coloro che rinunciano ad una simile condizione”, che hanno tutto il proprio tempo “liberato”, al fine di riuscire a trovare una via diversa per…