“Io ho avuto la felicità di conoscere un filosofo, che fu mio maestro. Nei suoi anni giovanili, egli aveva la gaia vivacità di un giovane, e questa, credo, non lo abbandonò neppure nella tarda vecchiaia. La sua fronte aperta, costruita per il pensiero, era la sede di una imperturbabile serenità e gioia; il discorso più ricco di pensiero fluiva dalle sue labbra; aveva sempre pronto lo scherzo, l'arguzia e l'umorismo, e la sua lezione erudita aveva l'andamento più divertente. Con lo stesso spirito col quale esaminava Leibniz, Wolff, Baumgarten, Crusius, Hume, e seguiva le leggi naturali scoperte da Newton, da Keplero e dai fisici, accoglieva anche gli scritti allora apparsi di Rousseau, il suo Emilio e la sua Eloisa, come ogni altra scoperta naturale che venisse a conoscere: valorizzava tutto e tutto riconduceva ad una conoscenza della natura e al valore morale degli uomini priva di pregiudizi. La storia degli uomini, dei popoli e della natura, la dottrina della natura, la matematica e l'esperienza, erano le sorgenti che avvivavano la sua lezione e la sua conversazione. Nulla che fosse degno di essere conosciuto gli era indifferente; nessuna cabala, nessuna sètta, nessun pregiudizio, nessun nome superbo, aveva per lui il minimo pregio di fronte all'incremento e al chiarimento della verità. Egli incoraggiava e costringeva dolcemente a pensare da sé; il dispotismo era estraneo al suo spirito. Quest'uomo, che io nomino con la massima gratitudine e venerazione, è Immanuel Kant: la sua immagine mi sta sempre dinanzi”.
(Johann Gottfried Herder)
Fonte: Wikipedia
Io sono ignorante; non mi vanto e non mi offendo per questa mia caratteristica. Scrivo di tutto e di tutti nella maniera vibrazionale ispirata di unire gli intenti e di interpretare il linguaggio degli opposti. In questa citazione riferita a Kant, del quale sono quasi completamente all’oscuro, trovo la descrizione di un uomo che mi sussurra qualcosa in profondità; utilizzo per esprimere questa mia sensazione, una sorta di intuizione formidabile che deriva dall’ascolto dell’interazione dell’energia vibrazionale “mossa” e messa in circolazione dalla semplice sua “osservazione”. Più semplicemente la nostra attenzione verso “qualcosa” evoca una risposta in termini di energia; non importa se l’oggetto della nostra attenzione non esiste più, come nel caso di Kant, perché la sua componente vibrazionale è ancora presente “nell’aria” che respiriamo. L’uomo ha capacità immense celate sotto una maschera cangiante come gli effetti visibili in uno stroboscopio. Chi per troppo ego, chi per troppa modestia… è difficile sviluppare e mantenere un equilibrio capace di mantenere costante il flusso vitale relativo a “chi si è”; stabilizzarlo significa essere consapevoli della natura illusoria di questo piano dimensionale e mantenere ferma questa prospettiva anche dinnanzi agli scrolloni delle apparenze che bussano ogni istante alla nostra “porta”. Chi era Kant? Mi piacerebbe scoprirlo perché sono mosso dalla curiosità di saperlo. Mi affascinano le biografie delle persone e non solo di quelle per così dire “famose”; cosa vorrà mai dire questo mio aspetto? Forse che tendo a guardare fuori di me? Allo stesso modo con il quale ho contribuito alla manifestazione dell’Antisistema? Guardare fuori dalla finestra per proiettarsi verso una prospettiva diversa dall’attuale, per poi voltarsi ed osservarsi da quella nuova “posizione”, equivale ad alzare il nostro piano percettivo di noi stessi e della “realtà” che ci circonda e della quale facciamo parte. Il concetto di “neutralità” che tanto mi sta sensibilizzando in questi giorni, continua a manifestarsi davanti e dentro di me (in Kant è l'assenza di pregiudizio). E cosa sta proponendo quale livello chiave ai fini dell’attenzione? Sta utilizzando una componente di energia polarizzata, affine, in risonanza con il mio “campo universale” di energia vitale. Dunque il concetto di “ignoranza” torna in questo caso al suo significato originario e più puro:
“L'ignoranza è la condizione dell'ignorante, cioè chi non conosce in modo adeguato un fatto o un oggetto, ovvero manca di una conoscenza sufficiente di una o più branche del sapere. Può altresì indicare lo scostamento tra la realtà ed una percezione errata della stessa. In senso comune il termine ignoranza indica la mancanza di conoscenza e di qualche particolare sapere, inteso in generale o su di un fatto specifico. Può significare anche non avere informazioni su un fatto o su un argomento. Questa è l'accezione originaria del termine, che deriva direttamente dal greco gnor-izein (conoscere) attraverso il latino ignorare (in - gnarus, che non sa). Successivamente, l'aggettivo ignorante si è evoluto in senso dispregiativo, indicando coloro i quali sono senza educazione o cultura".
Fonte: Wikipedia
Questa frase “Può altresì indicare lo scostamento tra la realtà ed una percezione errata della stessa” mi conferma che le parole si poggiano su una base semovibile molto simile ad un terreno caratterizzato dalla presenza di sabbie mobili. Dal momento in cui, per me la realtà percepita è frutto di una mia libera interpretazione di quello che colpisce i miei sensi, non vedo chi possa sostenere di detenere il vero piano della realtà a scapito del mio. Siamo infatti 6 miliardi di “telecamere” che riprendono ciò che vedono tramite una propria “tecnologia" dell’apparato visivo, sonoro, percettivo, etc. personalizzando ogni frangente tramite lo zoom della propria osservazione, la quale agisce sul piano della materia, interagendo con essa secondo un proprio, unico ed inequivocabile schema interpretativo dettato dal proprio mondo interno… e quindi unico. Il termine “ignorare” originariamente indicava “non conoscere”; io completerei con “non conoscere ancora”. La particella “ancora” determina la necessità di un tempo e descrive uno spazio, un gap da colmare tra l’attuale stato di “vuoto” ed il futuro ed ipotetico stato di “pieno”. Nel mezzo si pone la volontà come raggio traente capace di “far spostare anche le montagne”. La volontà dipende dal nostro grado di priorità, in quanto fatto 100 la nostra energia la distribuiamo strategicamente nel corso della giornata per affrontare “quello che ci viene incontro”. Le scadenze giornaliere sono ormai zeppe di “memo” descritti dall’Antisistema e non più dal nostro essere. La nostra volontà viene spalmata a cascata sulle azioni che “dobbiamo” compiere per non apparire dei “diversi” rispetto agli altri. Viene dunque deviata su quello che, in profondità, non vorremmo mai fare o non avremmo mai fatto se fossimo stati liberi di scegliere in cuor nostro. Siamo per così dire spostati continuamente e costantemente dal nostro punto di “comando”, dalla nostra cabina della regia, dal nostro punto di osservazione più naturale. L’ignoranza, della quale si percepisce la presenza, diventa dunque uno stato mentale da colmare facendo cruciverba, leggendo un quotidiano, le news su internet o al telegiornale, ascoltando chi fa tendenza, assumendo pillole di saggezza dagli altri che sembrano detenerla. Ed in questo atto ci allontaniamo ancora di più da noi stessi perché ci imbeviamo come delle spugne di una componente energetica non nostra, ritenuta a forza “degna di noi” perché pronta all’uso proprio nel raro momento giornaliero in cui siamo più liberi, attenti ma stanchi: a cena, nella pausa pranzo, nei viaggi di spostamento per andare a lavorare e tornare a casa, alla sera in generale. Durante le ferie siamo inondati di tutto quello che non abbiamo fatto durante il resto dell’anno. Infatti le pubblicità in tv ci propongono di tutto, dalla storia del trattore sino alla collezione di bustine vuote per lo zucchero. Ogni “cosa” va bene per mantenerci “deviati” da noi stessi. Torniamo alla descrizione di Kant che tanto mi ha affascinato, in questa parte:
“Nulla che fosse degno di essere conosciuto gli era indifferente; nessuna cabala, nessuna sètta, nessun pregiudizio, nessun nome superbo, aveva per lui il minimo pregio di fronte all'incremento e al chiarimento della verità. Egli incoraggiava e costringeva dolcemente a pensare da sé…”
Kant, a differenza della massa, era cosciente di sé e di quello che voleva fare, per cui non disprezzava nulla che giungesse alla sua attenzione, illuminando tuttavia questa attività tramite un fascio guida superiore dettato perlomeno dalla presenza della volontà sempre desta e vigile e con uno scopo ben netto e preciso: il chiarimento della verità. E con quale motto interiore? “Pensare da sé”… In questo “atto” dell’essere, dettato da intento, scopo, attenzione, osservazione, volontà, noto come il “timone” della propria vita sia saldamente in mano propria. Se poi uniamo una visione aperta pregna di spiritualità, capace di far comprendere che è tutta verità quella che ci circonda, ci rendiamo consapevoli che siamo noi che facciamo la differenza, tra la nostra realtà e quella degli altri, e pertanto che la nostra verità è contenuta dentro di noi. Allora la nostra ricerca trova un senso nella comprensione di “chi siamo” e l’ignoranza relativa a questo “vuoto” è solo transitoria come nell’accezione più pura del termine…
“Non essendoci questo non c'è quello; dalla cessazione di questo, quest'altro cessa.
In altre parole: in virtù della cessazione dell'ignoranza, cessano le attività volizionali.
[...] In virtù della cessazione del divenire, cessa la nascita.
In virtù della cessazione della nascita, cessano la vecchiaia e morte, la pena, il lamento, il disagio, l'angoscia e la mancanza di serenità.
Così avviene la cessazione di questa intera massa di sofferenza. »
(Udāna, 1.2(2))
L'ignoranza implica un continuo processo di auto-inganno sui princìpi di realtà dei fenomeni: il non rendersi conto che la cupidigia e l'odio, gli altri due veleni, sono fonte di dolore comporta l'accettazione dell'inganno come "normalità".
Fonte: Wikipedia