“Cantarono nelle strade per non morire.
Cantarono nelle gabbie per non impazzire.
Cantarono addosso al muro davanti a un fucile.
Colpo su colpo vedrete questo muro cadere…”.
Cantaré - Alessandro Mannarino
Qua, nell’AntiSistema, si decanta.
Molto più spesso si “risuona”. Come rispondendo (eco) al richiamo dell’essere “diapason”: tutti vibrando come un sol corpo, ma… con l’esclusione di sé, come se un paguro o un cuculo non-qualsiasi ti avesse trovato vuoto (svuotato), pre-occupandoti.
Come in una strategia che sembra “solo” un brutto e definitivo incubo ed invece è l’effetto della strategia stessa, tanto estesa da non poter essere nemmeno abbracciata dalla versione ad hoc della “tua” mente. Come serpe che sfugge poiché la sa sempre lunga, mentre tutto il resto rimane in quanto corpo da avvinghiare, arrotolandosi come se fosse vita alfine strozzando, spremendo, schiacciando… come se fosse qualcosa di impronunciabile (perché nell’incubo non riesci nemmeno ad aprir bocca) = l’artifizio più totale che non riesci nemmeno ad immaginare, pieno zeppo di c®edo come “sei”, nell’AntiSistema.
“Una volta…” gli schiavi cantavano mentre erano costretti a “lavorare”, accompagnati dalla violenza di chi era pagato per sorvegliare e frustare e sparare e uccidere, tanta era “tanta” la manodopera senza alcun prezzo ma ap-prezzabile. “Una volta…” cantavano “nelle gabbie per non impazzire...”, mentre “ora” te la suoni e te la canti ad immagine e somiglianza dell’eco-dominante che tuttavia non esiste (per “te”) ma c’è (perché puoi sempre “sentire”).
Come una invasione virale o una “malattia” che, però, non sei tu ma “tu” = il braccio della mente AntiSistemica.
Sii sostanziale, allora, e “vedrai”.