lunedì 8 maggio 2017

Una “due giorni”.



Feci una fortuna. Una maledetta fortuna…
Da allora non è cambiato tanto…
Dopo un po’, smetti di chiederti il perché”.
Glitch
Una volta ho pure aiutato due tifosi a Trigoria a srotolare uno striscione contro di me…”.
Luciano Spalletti
Le “cose” sembrano come succedere. 
Certo, non per caso, ma… arrivi ad inserire nelle “tue” constatazioni, “qua, così”, molti altri particolari che, d’assieme, tendono ad auto confonderti
Allorquando pensi o immagini, stai rielaborando immagini, informazione, che hai “captato” lungo il corso della “tua” vita e, non solo, ieri, oggi o cinque minuti fa. 
Per cui, il processo – relativo a ciò che fai (lascia perdere il “chi sei”) – risente sempre di qualcosa che, non paradossalmente, ometti dal prendere sostanzialmente in considerazione, come se (come se) non esistesse affatto. 
Come in molte trame romanzate, che non esiti a credere “fantascienza”, ti viene esattamente illustrato. 
Ovvio che tutto ciò sia (“è”) una strategia, così come quando lasci cadere un sasso da una certa altezza e questo cade sempre al suolo, secondo leggi fisiche già decodificate:
la sua “discesa” non è certamente lasciata al caso
Vero? 
Ci sono “forze” compresenti e sempre “al lavoro”. 

E ci sono altre forze, sempre compresenti e pianificanti “il lavoro”


Già. Perché il lavoro, prima ancora di essere quello che, poi, tendi a pensare “qua, così”, è:
una immagine, simbolo sostanziale (frattale espanso) di un in-certo atteggiamento che, precisamente, avviene globalmente, giurisdizionalmente e “con-senso”. 
Tutt3 ciò che auto succede, succede dal momento in cui viene (“è”) ideato, immaginato, pensato e, quindi, ispirato nel mondo reale manifesto conseguente e dipendente. 
Ergo:
cosa (chi) desidera (intende) questa esatta “forma” di realtà? 

  
Questo “dato”, ovviamente, ti manca… non visto che, la strategia più funzionale alla propria ragion fondamentale consta proprio nell'astrazione della compresenza dominante, di modo che… la Massa, interamente, tenda causalmente (una vera e propria “forza fisica”) a dimenticarla e, così, a dimenticare persino la propria “storia originale”, dipartendo dal momento di “è già successo” come auto resettando tutt3…
Il “gergo”, sviluppato in questo spazio (potenziale), va compreso.
Se (se) ti sfugge, allora, ti sfuggirà soprattutto molto altro.
A tal riguardo, il linguaggio è già stato semplificato, ricorrendo a “luoghi comuni” in luogo di specificità assai più complesse da “accettare”. Sì.
Dato che l’intera questione umana è “bagnata (anzi: immersa, ossia, caratterizzata…)” dall'informazione ambientale frattale espansa... di conseguenza, è possibile sviluppare e ricorrere a riduzioni di complessità, senza per/con questo perdere minimamente il senso dell’informazione, comunque, riportata.

  
Il concetto stesso di “dominante” è l’ultimo ritrovato in fatto di “semplificazione”, ricorrendo alla proprietà d’archetipizzazione del luogo comune “linguaggio”. 
Creando la “dima” di ciò che s’intende comunicare, la sostanza non cambia mai
La “dominante” implica il “dominio”, ergo, qualcosa che “si capisce perfettamente quale senso abbia ed ha, sempre”
A qualsiasi livello, un simile concetto rimane ed “è” sempre se stesso:
dominare è, infatti, dominare.
Puoi andare a rileggerti tutti i sinonimi del termine ma (ma) il significato non cambia mai (mai).
Ora, se tu sei immers3 in un particolare “stato/momento (situazione)”, nonostante tutt3, il “verbo” dominare lo comprendi in ogni “caso” e nonostante il “tuo” credo (in qualsiasi ambito), al di là dei luoghi comuni stessi, puoi sempre accorgerti di 1) essere dentro a situazioni dominate, 2) essere al cospetto di situazioni dominate, 3) essere caratterizzat3 da situazioni dominate, 4) essere perseguitat3 da situazioni dominate, etc.
Non importa “dove, come, perché, quando, se, ma, etc.”… i “tuoi” guai derivano costantemente da una forma sociale “qua, così”, perfettamente, (sotto)dominata:
da cosa (chi)? Questo è lo step successivo.


  
Prima, tuttavia, è d’uopo accorgerti della condizione di base, totalmente artificiale (di parte)tanto da essere divenuta, nel tempo, persino naturale - nella quale non sei “qua, così”.
Comprendere il senso del “verbo” dominare, è… ricordare qualcosa (qualcun3), che ti sembra non esistere nemmeno.
Eppure, dentro a/di te, c’è una parte che vibra in maniera del tutto particolare, riportandoti a galla delle sensazioni molto, molto, profonde. Tanto strane quanto – se poni attenzione – addirittura familiari.
Come, distrattamente lasciate andare.
Qualcosa dal vago sapore d’infanzia ma, probabilmente, ancora più distanti. Come se non appartenessero a te, ma – per qualche effetto d’eco – fossero comunque tue…
La dominante è una situazione esatta”, poiché sia la dominante che la situazione inerente, si auto descrivono a vicenda, inter penetrandosi e caratterizzandosi. 
La caratteristica – comune – è sempre quella frattale espansa, che provvede a riunire, attraverso nesso causale, ogni parte che – per qualche motivo d'interesse particolare – ha “inteso… far perdere le proprie tracce”.
Qualcosa dal quale deriva un enorme “vantaggio”, in termini di precursiva ragione fondamentale, anticipo e controllo.

  
Questa caratteristica va data per scontata. Pena, ilcontinuare a mordersi la coda”.
Accorgiti, una volta per tutte.
In luogo di "dominante", se si inneggiasse a:
regnante, prioritari3, principale, prevalente, al potere, etc.
per te, cambierebbe qualcosa?
Sì, ma solo se (se) questa ulteriore esemplificazione ti portasse al di là della capacità dell’incanto sempre attuale “qua, così”. 
Qualcosa che “non significa uno spostamento (fuga) fisico”. Bensì, qualcosa che “significa un maggior grado di comprensione (ricordo)”, partendo proprio (sempre) dalla caratteristica ambientale, sociale, globale, perfettamente già auto diffusasi in un certo, dato, contesto.
Quando riscontri una tale “configurazione”, allora, sei (già) alle prese con una situazione saturata e resa apparentemente complessa, in maniera tale da “auto depistare ‘a monte’ ogni possibilità di…”. 
Ma (ma) nel bacino descrittivo delineato dall'espressione “ogni possibilità di…” non (non) può mai rientrare anche la caratteristica ambientale frattale espansa, poiché, inalterabile per il "funzionamento" e sempre (comunque) onnipresente.

  
È, dunque, su ciò che puoi (devi) “contare”
E, persino, questa “costante caratteristica” la puoi ridurre ai minimi termini, attraverso un processo di semplificazione al tuo livello (qualsiasi è il “tuo” livello “qua, così”), riuscendo sempre e comunque a “far di conto” su di essa.
Certo, perché non è l’appellativo con il quale ti riferisci ad una certa caratteristica, che la rende più o meno possibile, dato che essa “è” a prescindere dal come tu la chiami e/o riconosci.
Per cui, chiamala come vuoi ma (ma) accorgiti che esiste, che c’è, che è sempre compresente.
Probabilmente, ti sei abituat3 a credere in qualcosa di molto simile alla “divina provvidenza”, alla “speranza”, all’”amore”, alla “giustizia”, a “Dio”, etc. ma, di più (di più), chiediti “che cosa significa” qualsiasi leitmotiv nel quale ti rifugi senza elevarne a potenza, il significato.
La frattalità espansa “è”.
Che cosa? Chi?
Il “chi” è un concetto talmente elevato che “fai prima a…” semplificarlo, riducendolo a te, seppure nella “tua” attuale veste “qua, così”.
Il “cosa” è, invece, un concetto molto simile a quello collegabile alla tecnologia (un mix di ogni scienza)”, intendendol3 sempre in maniera “ridotta” ma, non per questo, riduttiva. Ok?

  
Alfine, nella sostanza, la frattalità espansa “è”: 
una (la) caratteristica ambientale, in grado di riportare sempre la “firma (traccia, memoria) della/nella forma (reale manifesta)”.
Se lo intendi, ella “è” paragonabile al tuo “senso” superiore di “intuire sempre tutt3”, anche se e anche quando… “tutte le carte non sono scoperte” e, di più, “quando non sono nemmeno sul tavolo”…
“Qua, così” è tutt3 sottodominante (impoverito dentro).
Nel senso che “homo, homini, lupus…”. 
Ma (ma) ciò, deve essere solo un indizio per giungere sino “a monte”. E non, viceversa, il/un motivo per auto dannarsi, senza ritrovare più il bandolo della matassa.
Luoghi comuni convenzionali, come quello di “destino (futuro)”, sono trappole auto condensate “qua, così”, continuando a sopravvivere, in luogo di “essere ciò che già si ‘è’”.
Infatti, “qua, così” hai sempre l’impressione di “dover ancora e sempre conquistare, dimostrare, qualcosa”, ma (ma) a… cosa (chi)?
Così, in preda a questa “ansia da prestazione”, lo stress che si accumula tende alla mancanza di lucidità interiore, auto provocando “frane, slavine, valanghe, etc.”.


  
Nell'antichità sumera, il concetto di destino (futuro) era qualcosa che ritrovava una perfetta analogia con il termine di “orbita”, riferita alla rotta tracciata dai corpi celesti, nello Spazio. 
Ora, se… il cammino umano d’assieme, originale, ha “incrociato” l’orbita di un gruppo di uman3, convinti della possibilità di (automatica) deviazione del “destino… non solo proprio, massivo”, senz’altro, il futuro umano ne ha risentito ma, con questo, non significa che 1) esista sempre e solo quest’ultimo e che 2) non si possa cambiare rotta.
Come modifichi i dati per la navigazione, in qualcosa dotato della tecnologia necessaria per lo spostamento?
Semplice:
andando nella cabina di pilotaggio o, meglio, riprogrammando la destinazione (punto di approccio, futuro, destino, senso, viaggio, etc.).
Ora, “qua, così”, se (se) tendi ad ignorare l’esistenza della compresenza immanifesta dominante, allora, ti è addirittura impossibile anche solo immaginare la possibilità del “cambiamento (sostanziale)”.

  
Dunque, invece di credere ed auto limitarti al/nel destino, in quanto luogo comune dal vago sapore pseudo divino, alias, intoccabile… di più, inizia a credere nel simbolismo sostanziale frattale espanso, ossia:
che il destino è, semplicemente, una “rotta”
impostata e perfettamente seguita massivamente
anche senza consapevolezza alcuna, da parte della Massa (ivi trasportata).
Ti dice qualcosa, in tal senso, il concetto di “inerzia”?
Riunisci tutti i puntini… (alla luce della loro valenza d’assieme, sostanziale; illuminata dalla tua assolutezza consapevole, coerente e lungimirante).
Evita l’auto dispersione di te, in “te”, “qua, così”…
Questo spazio (potenziale) "riduce" tutt3 al valore della sostanza simbolica sostanziale frattale espansa:
all'archetipo (alla “dima”, al “campione”, allo “strumento”, etc.).
Senza accortezza (memoria), in qualsiasi (ogni) situazione tu sia (sei), sei sempre “qua, così”, alias:
dominat3
ed, allo stesso tempo
sottodominante.
Immagina a pieno tale situazione. Espandi la situazione nella quale non sei.
E giungi (arriva) a… renderti conto.
Accorgiti. E, poi, ricorda.
E, allora, “Fai…”.


  
Una “due giorni” è
il 2 nell’1 (insieme).
Una questione di prospettiva.
Qualcosa che “se ti dicono… 1, non sei mai cert3 che non possa essere anche 2, ‘qua così’”.
Qualcosa che se, invece della prospettiva… ricorri alla globalità prospettica, allora, riconosci sempre “ad angolo giro” ogni senso compiuto, in quanto “valore universale”.
Giustizia (“qua, così”):
non equivale a
giustizia ad angolo giro…
Mentre:
giustizia ad angolo giro (anche se “qua, così”)
equivale sempre a
giustizia.
Il “collo di bottiglia” controlla tutto “a valle”
Allora, il “destino” è controllato.
Ergo:
puoi sempre riprendertelo.
Perché “no”? Perché “sì”.

È il momento di “trasformare in ‘oro (sostanza)’” l’intero contenuto, passivato “qua, così”, del cosiddetto “pensiero positivo”, che non è solo un modo per dimostrare “simpatia, ottimismo” ed essere sempre “alla moda e fig3”. 
Di più, il “vedere il bicchiere mezzo pieno”, è un richiamo che, quando si riunisce e sovrappone alla globulare accortezza “formulare” (consapevolezza), allora, dà il via, il “La”, alla riedificazione del tutt3 già dimenticato ma (ma) mai passato autenticamente di “moda”.
Riprenditi il tuo destino. 
Distaccati da ogni luogo comune auto disinnescante, utilizzando tutt3 in leva, con al centro te e la tua umanità sempre giusta ad angolo giro.
Così, risuonerà l’eco “liber3 tutt3”…
In maniera tale che “una ‘due giorni’” non sia più una insidia, una trappola, una strategia, etc. e che non abbia, sempre, una (la) "sorpresa (dentro)".

  
In maniera tale cheuna ‘due giorni’” sia solo quello che “è”, ossia:
informazione frattale espansa, simbolismo sostanziale, memoria (esperienza).
Qualcosa da decodificare, vigilando sullo “stato delle cose”, molto prima che accadano e, “qua, così”, accorgendoti del momento di “è già successo”.
“Fai…”.
  
Davide Nebuloni
SacroProfanoSacro (SPS) 2017
Bollettino numero 2060



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