Molte cose al mondo non hanno un nome, e molte, anche se il nome ce l’hanno, non sono mai state descritte.
Susan Sontag
Susan Sontag (concedimi la battuta) alludeva, forse, al Nucleo Primo?
Le “cose” possono avere un nome naturale? Oppure, questo… “nome”, è artificiale ossia riferito a quello che qualcuno di “altamente ispirato” gli ha assegnato prima di te?
Tu hai un nome, vero? Ma è davvero tuo? Non te lo hanno dato i tuoi genitori? Tu dove sei in questa scelta? E, poi, all’anagrafe – dal punto prospettico di una macchina – non sei meglio (ri)conosciuto attraverso una cifra alfanumerica chiamata, a sua volta, coll’appellativo di “codice fiscale”?
Qual è, allora, il tuo "nome"? Ti chiami “Tizio e Caio” oppure “come una sigla di numeri e lettere”?
Cioè, tu sei solo questo? Un nome che ti hanno attaccato addosso, come una incisione su di una targhetta?
Caspita… a cosa ti sei abituato! E, se non hai un “nome”? Beh, sono guai grossi, visto che i documenti d’identità li devi sempre avere con te. Che cosa ti succederebbe se disconoscessi questa convenzione?
Che semplicemente… non esisteresti per questa società. Ma, evidentemente, esistendo… perché proprio in carne ed ossa davanti al Giudice, verresti a costituire una sorta di paradosso dell’identità e dell’identificazione:
una macchina ti saprebbe ancora riconoscere se disconoscessi il tuo codice fiscale? Certamente, sì. È a te che spetta e tocca l’opera della dissociazione dalla serie numerica. In che modo?
Rinunciando ai tuoi apparenti “diritti” (visto che non hai il diretto accesso alla programmazione della macchina). Tu puoi anche vivere ai margini della società, ma… te la senti? E, poi, chi te lo fa fare? E perché lo dovresti fare? Non stai meglio, forse, così?
Sei in un loop: lo vedi?