Ieri, una frase mi ridondava per la mente: “Io sono la porta”. Qualcosa di “già sentito”. Una espressione che, “a pelle”, sembra custodire “qualcosa in più, rispetto a tutto quello che si può pensare”.
"Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo"…
(Gv 10,9)
Qualcosa di attribuito a Gesù.
Quanto è casuale “quello che ti accade”?
Pensa che, a volte, Word stesso cambia la sequenza “su” in “us”, trasformando da sé (in automatico) la prima parola digitata “casuale” in “causale”:
come… dal giorno alla notte.
Questa mattina, la “ricezione” ha aggiunto alla frase appena citata, anche la seguente “assonanza”:
chiave = ch iave
yahweh = pronunciato come “iavè” .
Sembra una dimostrazione matematica.
Quanto è casuale tutto ciò? Perché non soffermarsi un po’ di più, rispetto al solito andazzo; rispetto al solito scordarsi dopo qualche secondo?
Perché non dare peso a ciò che “giunge” (o, si pensa)?
Dunque, abbiamo:
- la porta
- la chiave
- un principio superiore (un Dio non del tutto “Dio”).
È come (ri)tradurre o (de)codificare un sogno.