martedì 19 ottobre 2010

L'incognita del Cuore, la radice quadrata della speranza.





In Cile si venera la capsula.
In Cile è nato un nuovo culto.
La popolazione cilena, dalla religiosità molto espressiva, da qualche giorno venera la capsula che ha portato in salvo i 33 minatori della miniera di San José.
Un oggetto di metallo di 4 metri di lunghezza, 53 centimetri di diametro e 450 chilogrammi di peso, dipinto nei colori del paese, rosso, bianco e blu, e davanti al quale la gente ha cominciato a prostrarsi.
Sebbene un po' malmesso, dopo essere disceso tante volte nei 622 metri di profondità dello stretto pozzo dalle pareti rocciose, questo ascensore per la celebrità dal nome mitico (Fenix, come l'uccello che rinasce dalle proprie ceneri) nel cuore dei cileni ha preso il posto della Vergine nera della Candelaria e di san Lorenzo, il patrono dei minatori.
Raramente nel corso della sua storia il Cile ha richiamato l'attenzione di tutto il pianeta come nelle ore in cui il su e giù della Fenix restituiva alla luce i suoi eroi dopo 69 giorni sotto terra. Non sorprende quindi che la sua fama sia comparata a quella dell'Apollo 11.
«Ci hanno chiesto di prestare la capsula per un giro del mondo nell'ambito di una esposizione accompagnata da un video», ha detto il ministro dell'interno cileno.
Al suo ritorno la Fenix sarà esposta nel museo che le sarà dedicato.
Fonte: Yahoo

Anni fa una macchia di umidità e muffa sul muro di una delle tante case d’Italia, fece “proseliti“ a non finire; code di persone si formarono davanti a questa casa, in cui la “strana macchia” assunse la forma dell’immagine della Madonna. Ora si venera la “capsula” sacra! Quale è il frattale messo in luce? Quello della necessità di identificare le proprie preghiere in un qualcosa di tangibile, di fisico e di portentoso, un oggetto che rappresenti l’azione di una miracolo in Terra.

È una sete di risposte “celesti” concrete.

Altra caratteristica che emerge è il lato dedito all’imprinting di massa, al “credo” ed alle abitudini in termini di assuefazione nel tempo. Questa capsula potrebbe diventare una icona del divino, similmente alle svariate chincaglierie che si adorano un po’ in tutto il mondo Cristiano

Quanti chiodi della croce esistono al mondo? 

Un po’ troppi se mi consentite. Ed il miracolo del sangue di S. Gennaro? E la Sacra Sindone, già ampiamente smascherata più di ventanni fa da uno studio scientifico? 

Niente da fare: alle credenze non si può resistere! 

L’uomo ha necessità di riversarsi in adorazione di qualche icona posticcia; lo ha sempre fatto. Si è sempre inginocchiato davanti a presunte divinità o a oggetti/rappresentazioni di presunte divinità. E ciò mette in mostra solo ed esclusivamente l’opera millenaria dell’Antisistema sulla Natura dell’uomo stesso.

Il genere umano si è allontanato talmente tanto dalla propria essenza divina che, ormai, si è abituato a delegare il proprio potere ad ogni oggetto esterno ad esso. L’umanità non crede più in se stessa ma crede in ciò che può rappresentare l’immagine di una “cosa” che è stata “vicina” alla divinità messa in croce dall’umanità stessa. È paradossale, oppure esprime solo un senso di colpa atavico.

Dunque di questo si “nutre” e si flagella l’uomo Cristiano: di un duplice senso di colpa!

Il Peccato Originale e la Crocifissione.

Stiamo pur sicuri che il resto dell’umanità avrà altri sensi di colpa ancestrali, perché “ce n’è per tutti”, perché è un chiaro schema energetico in azione che rappresenta il delegare esternamente ciò che appartiene internamente. La divinità nativa è respinta ma si “fissa” all’esterno in una maniera diametralmente opposta ma secondo un preciso ed inconscio volere di “focus” spirituale: la necessità di essere inseriti, di essere in contatto con la “divinità” o perlomeno con un suo surrogato.

Si confonde il Sacro con il Profano!

E ciò è sempre successo. Il risultato pratico più evidente sono le “apparizioni” dei fenomeni di massa religiosi a 360 gradi nel mondo. L’umanità ne ha bisogno e vi si “immerge” in continuazione. Ma il vero peccato è quello di non comprendere che la causa “originale” di questa spinta risiede dentro se stessi…  

Solite "cose" vero?

Ed è la ragione per cui “siamo qua”: ricordare “chi si è” facendo esperienza, seguendo l’input/una precisa missione affidataci all’origine del tempo, il “senso” biologico dell’evoluzione diffuso in ogni scintilla divina che chiama in continuazione ad “andare avanti per poi tornare a casa”, come in un eterno respiro che anima l’intero creato.

Questo "richiamo" è infuso nella piena rappresentazione della Vita, nella sua biodiversità.

La ricchezza dell’ecosistema sulla Terra è il “biglietto da visita” della Creazione. La “discesa” dell’Anima nei piani densi dell’energia ha dato luogo alle meraviglie della Natura, il “fuori” corrisponde al “dentro”, alla bellezza dell’Anima, ai suoi doni e fattezze originali, proprio come nelle fiabe viene rappresentata: una fanciulla bellissima e delicata ma purtroppo addormentata ed “in attesa”.

Da questo “sonno” chi trae profitto? 

Proprio quelle forze che il Creatore voleva vedere in "azione", perché anch’esse facenti parti di sé ma ancora “incomprese”… Venendo alla luce del Sole, densamente, queste forze oscure si nascondono ancora perché non abituate alla luminosità per loro Natura. Ma nascondersi in una dimensione "aperta" come quella della Terra non è come rifugiarsi nelle “cantine” infinite dell’inconscio della Creazione. In Terra è tutto diverso e nel suo reame, il tempo promette di portarle infine alla “ragione”. Nulla avviene per caso…

Portare fuori quello che si ignora di avere dentro: bello e brutto insieme!

Portare fuori con la promessa di educare e di autoeducare…

Ribaltare per vedere e… "Capire".

Fare luce in ogni parte del sé.

Se questo vale per il Creatore vale ovviamente anche per noi e viceversa. Non ha importanza da che parte si guarda il processo evolutivo, il risultato non cambia per proprietà stessa della “ragion d’essere”:

“La proprietà commutativa, afferma che cambiando l'ordine degli addendi il risultato non cambia”.
Fonte: Wikipedia 

O per equivalenza:

“Una relazione di equivalenza è un concetto matematico che esprime in termini formali quello mentale di similitudine tra oggetti”.
Fonte: Wikipedia

O per proporzionalità:

"Al termine proporzione si può anche attribuire il significato di particolare relazione fra quattro numeri.
Si dice che quattro numeri reali positivi a, b, c, d sono in proporzione fra loro, se il rapporto fra il primo e il secondo è uguale al rapporto tra il terzo e il quarto; in formula:
 
a : b = c : d 
  
Questa relazione quaternaria si legge: a sta a b, come c sta a d".
Fonte: Wikipedia

E in termini di equazione:

"In matematica, un'equazione (dal latino aequo, rendere uguale) è una uguaglianza tra due espressioni contenenti una o più variabili, dette incognite. A seconda delle equazioni, l'uguaglianza può esser verificata solo per determinati valori attribuiti alle incognite, oppure per qualsiasi valore (identità), o per nessun valore (equazione irrisolvibile)".
Fonte: Wikipedia

Dato che veniamo da una condizione unitaria, allora l’equazione si riassume in:

Creazione intera = 1 oppure Creazione intera = infinito oppure Creazione intera = 0

Nell’insieme “Creazione intera” ci possiamo mettere qualsiasi “cosa”, ma il suo prodotto o somma sarà sempre uguale a quel “valore” con il quale ognuno di noi identifica la “forma” Creatrice.

L’equazione divina ad opera del Creatore prescinde dal valore che mettiamo alla destra dell’uguale; la funzione esistenziale tende a risolvere l’equazione in questo modo:

“Un insieme di valori che, sostituiti alle incognite, rende vera un'equazione è chiamato soluzione o radice. Risolvere un'equazione significa esplicitare l'insieme di tutte le soluzioni dell'equazione”.
Fonte: Wikipedia

Ossia? “Risolvere un'equazione significa esplicitare l'insieme di tutte le soluzioni dell'equazione”. Cosa ci leggo? 

Fare esperienza per risolvere l’equazione portando alla luce tutte le soluzioni dell’equazione.

Le incognite sono rappresentate dall’energia oscura ma soprattutto da come risponderemo noi all’energia oscura.

Quale forma di equilibrio permetteremo di manifestarsi?

Ricordiamo sempre che il Creatore è un principio non identificabile con nessun archetipo conosciuto, ma qualcosa che lo ricorda, pur molto aridamente, è il concetto espresso in Matrix:

L'architetto è il programma che ha creato e che governa Matrix e, in quanto tale, è una entità artificiale. Questa caratteristica in lui è molto più evidente che negli altri programmi, infatti l'architetto compie ragionamenti e riflessioni estremamente legate ad una logica meccanica. Anche il suo modo di parlare è piuttosto monotono ed è quasi privo di espressione o sentimenti.
Prima di costruire l'attuale Matrix, l'architetto ne aveva progettate altre sei versioni, le quali erano miseramente fallite in quanto troppo lontane dal modo di essere umano. Il risultato migliore lo ebbe con l'intervento dell'oracolo: questa nuova versione di realtà fu accettata dal 99%. 

L'1% degli uomini che rifiutava Matrix, invece era un problema inizialmente sottovalutato dall'Archittetto.

In Matrix Revolutions, l'Oracolo spiega a Neo che la funzione dell'Architetto è quella di bilanciare le equazioni matematiche che governano l'esistenza di Matrix. Egli, guarda all'esistenza umana come ad una serie di equazioni e non è in grado di concepire il concetto del libero arbitrio, vedendo le possibilità di scelta come semplici variabili di un'equazione”.
Fonte: Wikipedia

Mettiamoci Cuore nelle nostre umane “cose”: alla sinistra dell’uguale ci vuole molto cuore! 

L'1% degli uomini che rifiuta questa "Matrix" non è una variabile da sottovalutare in termini di "massa critica":
 
"Chiave n.16: Il numero minimo di persone richiesto per "mettere in moto" un cambiamento di coscienza è: radice quadrata dell'1% della popolazione".
Fonte: "La Matrix divina" di Gregg Braden.


lunedì 18 ottobre 2010

La "Città del Sole" e l'Antisistema.




Welfare: Trichet, molti Stati devono rivedere il loro Sistema. 
Dipende da paese e paese e dipende dalla situazione di ogni singola economia ma è vero che in numerosi casi dobbiamo accettare il fatto e dobbiamo correggere e migliorare parte del vecchio sistema che fu introdotto molto tempo fa. Al momento questo sistema non è all'altezza della situazione attuale...''. Queste le parole rilasciate oggi dal Presidente della Bce, Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet nel corso dello speciale di Sky Tg24.
''È  chiaro - ha proseguito Trichet - “… che si creano enormi problemi… non solo per noi ma anche per i nostri figli e per i nostri nipoti''.
Fonte: Yahoo

Trichet è un uomo inserito nei meccanismi, nei gangli di un consueto "modo di fare" ancora in auge. È innegabile il suo ruolo “centrale” anche se solo di doveroso uomo-manichino. 
E di cosa parla? Di “Sistema”. E cosa afferma? Come lo descrive? Ecco:
  • vecchio
  • introdotto molto tempo fa
  • oggi non all’altezza
  • in grado di influire sul futuro

Cosa ci vorrà mai dire? Niente? Oppure sta solo denunciando l’attuale situazione come lo può fare un uomo nella sua posizione che, di tanto in tanto... Mentre recita la “parte”? Leggendo tra le righe c’è spazio per osservare frattalmente proprio ciò che vado a descrivere da più di un anno: cosa?

“I sistemi democratici procedono diversamente, perché devono controllare non solo ciò che il popolo fa, ma anche quello che pensa. Lo Stato non è in grado di garantire l'obbedienza con la forza e il pensiero può portare all'azione, perciò la minaccia all'ordine deve essere sradicata alla fonte. È quindi necessario creare una cornice che delimiti un pensiero accettabile, racchiuso entro i princìpi della religione di Stato". Noam Chomsky (Da La Fabbrica del consenso, in Libertà e linguaggio, traduzione di Cesare Salmaggi, Tropea, Milano, 1998)

Anche uomini del calibro di Noam Chomsky si adattano ad utilizzare una terminologia fuori luogo come “Sistema”, ma nel caso di Chomsky capisco il perché

La sua e la figura di Carlo Splendore (Come in basso così in alto) hanno forgiato in me la concezione e l’individuazione dell’appellativo “Antisistema”. In che modo?

Il "primo", Noam Chomsky, tramite un lucido ragionamento relativo al fatto che la politica USA ha sempre usato, ereditando e continuando in quella che è una vera e propria “tradizione”, una tecnica mediatica, politica, “esoterica”, di controllo anche del linguaggio mediante l’appropriazione di termini e classificazioni. Ad esempio il termine “globalizzazione”, che identifica l’ufficialità, la spinta del potere che muove le “cose”, in maniera tale che tutti coloro che non la pensano allo stesso modo siano screditati dall’uso stesso del linguaggio: coloro che sono conosciuti come no-global, termine assolutamente negativo che "identifica" agli occhi della massa “immemore” e senza tempo; le persone che partecipano a movimenti no-global sono indistintamente riconosciute  come assolutamente “pericolose”, negative, fuori dagli schemi della legalità. Perché? Solo perché il termine stesso le dipinge psicologicamente in questa maniera. Solo perché la particella negativa che “apre” la parola è identificativa di un qualcosa che va “contro”.

Tutto ciò che va contro fortifica, in realtà, proprio il movimento che intende “combattere”. Sono sempre vive le parole di Madre Teresa di Calcutta: Non invitatemi a manifestazioni contro la guerra. Invitatemi a manifestazioni per la pace

Commemorare i "caduti" in  guerra è commemorare la guerra, non dare pace a quelle Anime, proprio come adorare una croce con un cadavere inchiodato sopra.

Il termine “terrorista” è sempre stato appiccicato a coloro che si dimostravano degli scomodi “bastoni fra le ruote” per il potere, solitamente, invasore. Ricordiamo come i nostri partigiani fossero definiti “terroristi” dai nazisti invasori. Come la mettiamo? Chi è oggi definito un terrorista? E da chi lo è definito? Rispondendo a queste due domande avremo la risposta che triangola a chi detiene un potere antidiluviano nelle mani e lo amministra ormai sull’intero genere umano. Non esistono distinzioni geografiche o di razza, confini immaginari o insiemi di leggi. Andiamo verso l’Uno in ogni modo e possibilità.

Il "secondo", Carlo Splendore, mi ha ispirato il concetto di Antisistema, ossia di quella parte energetica che si “oppone” al Sistema, che riflette negativamente il Sistema, che lo annuncia tramite il suo contrario, che permette di intuirlo. 

È una legge cosmica quella descritta da Splendore: la legge d’ottava

Un qualcosa conosciuto dagli albori del genere umano. Un qualcosa che spiega il perché in Natura non esistano angoli ma solo linee curve, dolci, arrotondate, come spiega chiaramente anche Gurdjieff. Le forme geometriche classiche come il quadrato, il triangolo, il rombo, etc. lavorano naturalmente negli strati invisibili della materia, ma di essi in “superficie” non c’è nessuna evidenza. Il loro effetto è una miscellanea di forze che insieme raggiungono un “compromesso”, una rotondità negli effetti palpabili ed osservabili. Il frattale è contenuto anche nel design delle vetture che, a partire dagli anni 90, ha iniziato ad arrotondare ogni spigolo, sino a dare luogo a veicoli completamente senza angoli. Un disco volante della classica fiction è totalmente arrotondato.

Unendo e miscelando questi due influssi che sono giunti alla mia osservazione, ho potuto assumere il concetto di Antisistema. Ossia di quella “forma” evidente e ancora “spigolosa” del vivere insieme regolati da leggi, che tutt’oggi ancora ci avvolge e “rappresenta”

La manifestazione concreta del Sistema è l’Antisistema; un mondo in di-venire.

Noi viviamo in un mondo che ha negato il Sistema, dove per Sistema si deve intendere un “qualcosa” molto vicino al concetto di Paradiso o un qualcosa che per intuito riusciamo ad agganciare quando immaginiamo un mondo perfetto, fatto di giustizia, felicità, gioia, Amore. Quel mondo esiste e lo stiamo anche perseguendo. Tuttavia abbiamo come complicato le “cose”, debordando dai confini che lo distinguono dal suo esatto opposto. Diciamo che proveniamo dal Paradiso e siamo “caduti” diametralmente. Perché? Per portare fuori di noi ciò che andava ancora “conosciuto”. Le forze che regolano l’Antisistema, anche inconsciamente, sono servitrici proprio di questa funzione “educativa”. Funzione che vissuta nel presente senza consapevolezza e lungimiranza porta allo smarrimento della “Notte oscura dell’Anima”: il lungo periodo dal quale stiamo per uscire.

Nulla avviene per caso.

Ricordo la figura di Tommaso Campanella che riporto prendendo vecchi “appunti” derivanti da ricerche su internet di qualche anno fa, di cui non ho più la fonte da citare:

Tommaso Campanella (1568-1639) fu il filosofo dell’autocoscienza nel rinascimento.
Pervaso dall’ardore di studiare più che da una vocazione rigorosamente monastica, entrò nei Domenicani a quindici anni.
Antidogmatico, antiaristotelico fu presto ritenuto stregone perché sapeva la teologia senz’averla studiata.
Incompreso ed osteggiato fu derubato degli scritti, gli fu vietato insegnare, fu inquisito e arrestato. Venne riconosciuto ortodosso.
Successivamente sotto il malgoverno spagnolo fu riaccusato come eretico e rivoluzionario a causa delle proprie idee socialiste e liberali (repubblica ideale).
Preso e torturato fu condannato a morte, scampandone per simulata pazzia e tenuto in carcere per ventisette anni.
Consegnato a Roma al Papa Urbano VIII venne protetto da quest’ultimo e fatto fuggire in Francia dove morì.

Essenza di ogni cosa è la forza che ci permette la conservazione e, quindi, di essere e di continuare ad essere. Oltre a questa forza deve esserci anche una coscienza di essere e di affermazione sugli altri, altrimenti l’essere rimarrebbe inattivo, inerte cessando persino di essere (d’esistere). Essere implica conoscere, così tutto sente e tutto è animato. La coscienza è originaria non un fatto acquisito. Ed è alla base dell’istinto fondamentale di conservazione che caratterizza ogni singolo essere intelligente, incosciente, inanimato. La coscienza è, innanzitutto, una oscura nozione originaria di sé, non ancora vera coscienza di sé, ma piuttosto “sentimento” di sé medesimi come essere. Questa specie di coscienza innata e inconsapevole, avverte se stessa solo quando viene a contatto con il mondo esteriore e si determina in essa una modificazione. E’ nell’avvertire questa modificazione propria, questo senso aggiunto che va ad accrescere la coscienza innata ed oscura, che la coscienza originaria perviene alla coscienza di sé, all’autocoscienza consapevole, che avverte di essere e di esserci. Fin qui era giunto il Telesio, egli va oltre.

Come nasce questo senso aggiunto? Passando dal senso solo interiore di sé, dalla coscienza innata, al senso esterno della realtà.
È l’esperienza dunque a trarci fuori di noi stessi, a volgerci alle cose esteriori. Fino a farci, anzi, dimentichi del nostro io, attratti alle cose conosciute. Il suonatore che dimentica il movimento delle dita e non guarda alle corde, segue solo la melodia espressa così che l’io, nella percezione, non avverte più se stesso conoscente, ma vede solo le cose di cui è conoscente, dimenticandosi in esse, come l’animale che vive solo del mondo esterno e mai della propria intimità.
Questa coscienza esterna non è che una autocoscienza. E’ un avvertire non le cose fuori di noi, ma le modificazioni nostre al contatto con gli altri esseri. Avvertire il calore è in realtà avvertire sé come riscaldato, sé modificato. In verità sentire è sempre di sé: è conoscere ciò che si è, ciò che si è diventati.
È in questa autocoscienza che ritroviamo infine e davvero noi stessi: finchè guardiamo alle cose noi ci perdiamo in noi medesimi (nella musica suonata dimenticandoci come suonatori); se invece volgiamo l’attenzione alle nostre intime mutazioni conoscitive, che ci forgiano come un essere sempre nuovo, nel confronto tra l’io di prima e l’io di dopo la sensazione, conosciamo noi stessi

Ogni sapere è quindi si un sentire, ma non è un conoscere delle cose come sono, ma come “sono sentite”; è sentire anzi le proprie modificazioni di fronte alle cose. (“ Noi conosciamo solo i nostri contenuti di coscienza e questi contenuti non sono che nostri stati individuali, prodotti dallo stesso processo conoscitivo: Berkeley). 

Non era uno scetticismo assoluto però.

Si potrà dubitare che le cose siano come appaiono, persino che esse esistano davvero, ma è indubitabile che esiste una mia coscienza delle cose, un’io modificato: di tutto si può dubitare fuor che dell’autocoscienza, in essa è la chiara sicurezza di sé, di contro alle parvenze fenomenistiche delle cose esteriori. Ritrovo me anche nell’errore, e solo in me trovo l’inequivocabile certezza.

Quanto a ciò che non è sentito direttamente da noi stessi, ma è creduto sulla sola autorità e testimonianza altrui, è anch’esso un sentire: è un percepire mediante sensi non propri. Meglio è, naturalmente, respingere questo mangiare per bocca altrui. Quello che è certo è che, in tutti i casi, al principio di ogni conoscere sta sempre la sensazione.
Anche ciò che chiamiamo pensiero non è che uno sviluppo successivo dell’atto sensitivo, non altro che una sensazione affievolita. Il concetto non è un universale (Aristotele), ma un generico: la vera conoscenza universale sarebbe la somma di tutte le conoscenze nominali ed è impossibile. All’oggetto in sé si perviene solo per via di una mente soprasensibile e intellettiva che sa cogliere anche, per propria natura, l’infinito e le essenze. E’ soltanto quest’anima razionale e spirituale, capace di oltrepassare l’esperienza solo sensibile dell’anima naturalistica, potrà in fine, pervenire alla contemplazione suprema di Dio.

Osserviamo il mondo nel quale era inserito il Campanella:

Per poco tempo il Campanella rimase tranquillo in convento, dove scrisse il piccolo trattato De predestinatione et reprobatione et auxiliis divinae gratiae, nel quale afferma la dottrina cattolica del libero arbitrio. In un abbozzo dei suoi Articuli prophetales, appare già l’attesa del nuovo secolo che gli sembra annunciato da fenomeni straordinari: inondazioni del Po e del Tevere, allagamenti e terremoti in Calabria, il passaggio di una cometa, profezie e coincidenze astrologiche

Un nuovo mondo sembra alle porte, a sostituire il vecchio che in Calabria, ma non solo, vedeva “i soprusi dei nobili, la depravazione del clero, le violenze d'ogni specie [...] la Santa Sede [...] sanciva i soprusi e proteggeva i prepotenti. Il clero minore, corrottissimo nei costumi, abusava ogni giorno più delle immunità ecclesiastiche, e profanava in ogni modo il suo ufficio. Fazioni avverse contendevano talvolta aspramente tra loro, e non poche lotte erano coronate da omicidi e delitti d'ogni specie. Gruppi di frati si davano alla campagna, e, forniti di comitive armate, agivano come banditi, senza che il governo riuscisse a colpirli [...] I nobili e le famiglie private, dilaniate da inimicizie ereditarie, tenevano agitato il paese con combattimenti incessanti tra fazioni [...] l'estrema severità delle leggi, che comminavano la pena di morte per moltissimi delitti anche minimi [...] la frequenza delle liti e delle contese, aumentavano in maniera preoccupante il numero dei banditi”.

E cosa progetta lo stesso Campanella?

In tale situazione di degrado e nell'illusione di un rivolgimento già scritto nelle stelle, Campanella progettò, senza preoccuparsi di valutare realisticamente le possibilità di realizzazione, la costituzione in Calabria di una repubblica ideale, comunistica e insieme teocratica. Era necessario per questo cacciare gli Spagnoli, ricorrendo anche all'aiuto dei Turchi: cominciò a predicare dai primi mesi del 1599 l'imminente ed epocale rivolgimento, intessendo nell'estate una fitta trama di contatti con le poche decine di congiurati che aderirono a quella fantastica impresa...
Fonte: Wikipedia

Progetta un ritorno al “Sistema”, ad un mondo perfetto che doveva servire da esempio, da “dima” per il resto della realtà. Criticabile quanto si vuole, ma ogni uomo agisce in questa maniera: immagina il proprio mondo ideale. Solo che ogni uomo è sotto l’influsso di un potere più grande che plasma il mondo attraverso il volere inconscio di ogni uomo “dormiente”.

La massima espressione del Campanella diventa allora la “Città del Sole”:

Forza e coscienza sono gli attributi inscindibili, perché costitutivi: senza di loro non sussisterebbe l’essere. Ma l’essere non è solo singolarità che tenda alla propria conservazione ed affermazione come individuo. L’essere singolo non è che un elemento d’un organismo infinito, retto dall’armonia di tutto il molteplice: l’universo. In esso ogni essere ha un suo luogo, un suo compito, un suo perché, una sua missione; in esso tutto segue le leggi cosmiche dell’essere e della vita e si conserva in esse; in esso vige la legge ognidiffusa dell’amore che fa del cosmo un’unità infinita e vivente. Questo amore emana dal profondo del più intimo volere dell’essenza d’ogni essere, e si manifesta e come spirito d’immortalità e come spirito di amore sopraegoistico fra tutte e verso tutte le creature.
La pietra tende al suo luogo, a stare nella gravità universale: è un aspetto fisico della tendenza a mantenere le leggi e l’armonia del mondo, a conservare quell’equilibrio, rotto il quale sarebbe scossa l’architettura dell’universo e tutto precipiterebbe in una cosmica conflagrazione

Ebbene la gravità, l’inerzia i moti dell’energia sono amor. Animali e piante si conservano per generazione, oltre sé, perpetuando così il mondo dei viventi: le leggi della biologia sono amor.

Se venissero meno gli individui verrebbe meno l’universo e viceversa. Non c’è tutto senza individui: non vive individuo senza tutto o fuori del tutto. Tutto e individui sono condizioni reciproche di esistenza. In questa visione ogni essere intelligente comprende non solo la propria posizione, ma addirittura la propria missione nel tutto, adeguandosi alla quale può consapevolmente dire: “ io l’universo adempio “.Anche l’amor è condizione originaria, ed è il terzo attributo costitutivo dell’essere.

“Campanella fu autore anche di una importante opera di carattere utopico, ovvero La Città del Sole. Nella Città del Sole egli descrive una città ideale, utopica, governata dal Metafisico, un re-sacerdote volto al culto del Dio Sole, un dio laico proprio di una religione naturale, di cui Campanella stesso è sostenitore, pur presupponendo razionalmente che coincida con la religione cristiana. Questo re-sacerdote si avvale di tre assistenti, rappresentanti le tre primalità su cui si incentra la metafisica campanelliana: Potenza, Sapienza e Amore. In questa città vige la comunione dei beni e la comunione delle donne. Nel delineare la sua concezione collettivista della società, Campanella si rifà a Platone (V secolo a.C.) e all'Utopia di Tommaso Moro (1517); fra gli antecedenti dell'utopismo campanelliano è da annoverare anche la Nuova Atlantide di Bacone

L'utopismo partiva dal presupposto che, poiché non si poteva realizzare un modello di Stato che rispecchiasse la giustizia e l’uguaglianza, allora questo Stato si ipotizzava, come aveva fatto a suo tempo Platone…”.
Fonte: Wikipedia

Wikipedia è sempre piuttosto "caustica" ma, penso, per ragion d'esistenza.
  
L’opera consiste in un dialogo tra un cavaliere di Malta e un ammiraglio genovese, il quale ha appena fatto ritorno dal giro del mondo ed espone al suo interlocutore la vita di una città, chiamata Città del sole, che si trova sulla linea dell’Equatore. Il dialogo, che si ricollega alla tradizione della Repubblica di Platone e di Utopia di Tommaso Moro, serve a Campanella per illustrare la sua teoria ideale sulla migliore forma di governo. La città, spiega l’ammiraglio, si trova sull’isola di Taprobana (che i critici fanno corrispondere all’isola di Ceylon) ed è eretta su un alto colle; è circondata da sette cerchia di mura, praticamente inespugnabili, ognuna delle quali porta il nome di uno dei sette pianeti, mentre le entrate per accedere alla città sono quattro, situate in corrispondenza dei quattro punti cardinali. Alla sommità del monte si trova un tempio di forma circolare, consacrato al Sole, sulla cui volta sono dipinte le stelle maggiori...”.
Fonte:
www.liberliber.it 

Il carattere “astronomico” ed iniziatico sul quale si basa la descrizione la dice molto lunga sul Campanella. Egli era chiaramente un conoscitore di talune verità, essendone un testimone diretto e non un dotto costruito sui libri. La sua capacità immaginativa andava oltre alla cerchia limitativa imposta attorno all’uomo dall’uomo stesso. La sua chiaroveggenza era ancora intatta, il suo potere ancora in grado di supportarlo sia nella sopravvivenza sia nella “costruzione” paziente dei pilastri di un nuovo mondo sulle “ceneri” di un ecosistema sociale andato in mille pezzi.

È tutto provvidenziale ma quanto è duro da digerire questo nostro attuale mondo. La tristezza che accompagna le ere oscure del genere umano è devastante. Aleggiare attorno a queste “anse” è estremamente pericoloso perché il loro “canto” è "attraente" e ingannevole come il canto delle Sirene per Ulisse e come lo strano gusto per "l'orrido"

Il “gusto” di sapere cosa è successo e perché, è una spira velenosa che può attirare ed impantanare le nostre ali di luce. 

Il mio percorso è questo e mi rendo conto di quanto stia rischiando di me, della mia essenza, del mio futuro e del futuro di tutti quanti. Perché noi tutti siamo collegati e la caduta dell’uno è la caduta dell’altro. È nostra responsabilità cercare di "volare alto" e, pur nel tentativo di comprendere, non cadere mai esattamente nel luogo dal quale ci siamo già rialzati svariate volte.

È ora di prendere una direzione univoca. Abbiamo visto a cosa possiamo giungere se abbandonati a noi stessi. Le nostre paure affiorate alla superficie ci hanno “distratto” a sufficienza. È tempo… di volare via. Di dare origine ad un mondo diverso, ad un Sistema regolato dal CuoRe, dalla Luce, dall’Amore... 

Dal sentirsi "vivi" e partecipi del tutto. 
 
 

domenica 17 ottobre 2010

Notte oscura dell'Anima e "fortuna".




Il quarto specchio: riflessi della nostra notte oscura dell’anima.

Se porterete alla luce quello che è dentro di voi,
quello che porterete alla luce vi salverà”.
Il Vangelo di Tommaso

Durante il boom tecnologico dei primi anni ’90, Gerald (pseudonimo) era ingegnere e lavorava in California, a Silicon Valley. Aveva due splendide figlie adolescenti ed era sposato con una donna egualmente bella, con cui aveva trascorso gli ultimi quindici anni della sua vita. Quando lo conobbi, la sua azienda gli aveva da poco conferito un premio per festeggiare i suoi cinque anni di servizio come specialista in problemi di pronto intervento causati da un particolare tipo di software. Le sue mansioni l’avevano reso un elemento prezioso per l’azienda e il ricorso alla sua esperienza si estendeva ben oltre il normale orario di lavoro. Per venire incontro alle richieste, cominciò a lavorare fino a tarda notte e nei fine settimana e a viaggiare per presentare il suo software in raduni commerciali e mostre in altre città. Non trascorse molto tempo, che si  accorse di passare molte più ore con i colleghi che in famiglia. Vedevo chiaramente nei suoi occhi il dolore che quell’allontanamento gli aveva causato. Quando arrivava a casa la sera, la moglie e le figlie stavano già dormendo e il mattino seguente era in ufficio prima ancora che i suoi si alzassero. Presto cominciò a sentirsi un estraneo sotto il suo stesso tetto. Ne sapeva di più delle famiglie dei colleghi, che della sua. Fu a quel punto che la vita di Gerald ebbe una svolta drammatica. Nel periodo in cui venne da me per una sessione di counseling stavo scrivendo un libro dal titolo “Camminare fra i mondi: la scienza della compassione, che descriveva il modo in cui gli “specchi” dei rapporti umani si riflettono sulla nostra vita. Più di duemiladuecento anni fa, gli autori dei Rotoli del Mar Morto avevano identificato sette schemi specifici di interazione umana. Mentre quell’uomo mi raccontava la sua storia, era chiaro che stava descrivendomi proprio uno di quegli schemi, rappresentato dal riflesso della nostra più grande paura e noto con il nome di “Notte oscura dell’anima”.
Fra gli ingegneri che lavoravano nell’ufficio di Gerald vi era una donna all’incirca della sua erà, una giovane e brillante programmatrice. Si era trovato a lavorare con lei con incarichi che talvolta si prolungavano anche per molti giorni consecutivi e li obbligavano a spostarsi fuori sede. Non passò molto tempo che gli sembrò di conoscere meglio la collega della propria moglie. A quel punto della storia, cominciai a sospettare di conoscerne già gli sviluppi successivi. Ciò che però non sapevo era che cosa stesse per succedergli all’epoca e il motivo per cui Gerald ora fosse così provato.
In breve tempo, cominciò a credere di essere innamorato della collega e decise di lasciare la moglie e le figlie per iniziare una nuova vita con lei. In quel frangente, la decisione sembrò molto sensata poiché i due avevano parecchie cose in comune. Tuttavia, dopo alcune settimane, alla sua nuova compagna fu assegnato un progetto a Los Angeles. Facendo leva sullo scambio di favori personali, l’uomo riuscì ad architettare un trasferimento nello stesso ufficio anche per sé.
Immediatamente, le cose iniziarono a prendere una brutta piega e Gerald si rese conto di aver perso molti di più di quanto avesse guadagnato. Gli amici comuni che lui e la moglie avevano frequentato per anni, all’improvviso presero le distanze e divennero inavvicinabili. I suoi colleghi invece pensavano che “gli avesse dato di volta il cervello”, per aver abbandonato il suo posto e i progetti a cui aveva lavorato tanto alacremente. Perfino i suoi genitori ce l’avevano con lui, per aver lasciato la famiglia. Sebbene stesse soffrendo, Gerald si convinse che quello era semplicemente il prezzo da pagare per il cambiamento. Stava per iniziare una nuova vita. Che altro poteva desiderare?
A questo punto entrarono in scena lo specchio dell’equilibrio e la Notte oscura dell’anima. Proprio mentre tutti i tasselli della sua vita parevano andare al loro posto, Gerald si rese conto che, in realtà, tutto gli stava crollando addosso! Nel giro di poche settimane, la sua nuova compagna gli disse che il rapporto non corrispondeva alle sue aspettative e vi pose bruscamente fine, chiedendogli di andarsene. In un attimo l’uomo si ritrovò a vivere per conto suo, solo e sconvolto.
“Dopo tutto quello che ho fatto per lei, come ha potuto farmi questo?” – si lamentava. Aveva lasciato la moglie, le figlie, gli amici e il posto di lavoro – in breve, si era separato da tutto ciò che amava.
Presto cominciò ad avere risultati scadenti nella vita professionale. Dopo essere stato messo ripetutamente in guardia e aver ricevuto un rapporto di rendimento meno che lusinghiero, il suo reparto finì per licenziarlo. Più la storia di Gerald si rivelava, più era chiaro cosa gli fosse accaduto: la sua vita, inizialmente salita alle stelle con la prospettiva di un nuovo rapporto amoroso, di un nuovo impiego e di guadagni più elevati, era precipitata fino a toccare il fondo più nero, con la sparizione di tutti quei sogni. La sera in cui Gerald venne da me cercava la risposta a una singola domanda: “Cosa è successo?”. Come era possibile che una situazione apparentemente così favorevole per lui fosse degenerata in quel modo?

Riconoscere il meccanismo che scatena la notte oscura dell’anima.

Quando lo incontrai, Gerald aveva perso tutto ciò che amava. Il motivo per cui era accaduto costituisce il nocciolo di tutta questa storia. Anziché lasciar andare le cose che amava poiché si sentiva completo e stava progredendo, aveva fatto le sue scelte solo sulla base della convinzione che le avrebbe potute sostituire con qualcosa di meglio.

In altre parole, non aveva voluto rischiare. 

Per paura di non trovare nulla di meglio, infatti, aveva prolungato il matrimonio anche molto tempo dopo essersi allontanato emotivamente dalla famiglia. C’è una differenza sottile, ma significativa, tra lasciare il lavoro, gli amici e i rapporti amorosi perché abbiamo raggiunto la completezza, e il restarci dentro per paura che là fuori non ci sia nient’altro che ci sta aspettando.
La tendenza ad aggrapparsi allo status quo finchè non si presenta qualcosa di meglio può manifestarsi in ogni tipo di rapporto. L’attaccamento può essere dovuto al fatto che non si è consapevoli di ciò che si sta facendo o può verificarsi perché temiamo di smuovere le acque affrontando l’incertezza di non sapere cosa verrò dopo. Sebbene possa rappresentare uno schema di cui non siamo coscienti, si ha pur sempre a che fare con uno schema. Che si tratti di lavoro, di una relazione amorosa o di uno stile di vita, ci può capitare di trovarci in uno stato di attesa durante il quale, pur non essendo realmente felici, non si comunica mai onestamente con le persone della nostra vita. Quindi, anche se dall’esterno potrebbe sembrare che le cose stiano seguendo un corso normale, in realtà dentro di noi stiamo chiedendo a gran voce un cambiamento e ci sentiamo frustrati, perché non sappiamo come esprimere quel bisogno a chi ci sta accanto.

Quello è uno schema che produce negatività. 

Spesso i nostri reali sentimenti sono dissimulati sotto forma di tensioni, ostilità, o talvolta anche solo attraverso la nostra assenza dal rapporto. Ripetiamo ogni giorno la routine del lavoro, del condividere la quotidianità e un tetto con un’altra persona, ma emotivamente siamo distanti e lontani, come in un altro mondo. Se abbiamo un problema con un superiore, un partner o persino noi stessi, tendiamo a razionalizzare, scendiamo a compromessi e aspettiamo. Poi un bel giorno, all’improvviso, ecco che – boom! – succede. Apparentemente dal nulla, proprio le cose che aspettavamo e che avevamo tanto desiderato si affacciano improvvisamente sulla nostra vita. Allora ci può accadere di buttarci a capofitto nei nuovi eventi, come se per noi non ci fosse domani.
Nel caso di Gerald, quando si era trasferito in un’altra città con la sua nuova compagna, aveva lasciato dietro di sé un vuoto irrisolto, un baratro nel quale il suo mondo era poi sprofondato. Arrivato a quel punto a avendo perso tutto ciò che amava, ora era seduto in lacrime davanti a me e mi chiedeva: “Come posso riavere indietro il mio impiego e la mia famiglia? Mi dica cosa devo fare!”.
Mentre gli porgevo la scatola dei fazzoletti di carta che tenevo a portata di mano per momenti come quelli, gli dissi qualcosa che lo colse completamente alla sprovvista: “Questo momento della sua vita non deve servirle a riprendersi quello che ha perso, anche se il risultato potrebbe essere proprio quello. La situazione che lei si è creato va molto al di là della sfera del lavoro e della famiglia. Ha appena risvegliato in sé una forza che potrebbe diventare la sua più potente alleata. Quando avrà superato quest’esperienza, avrà acquisito una forma di fiducia nuova e incrollabile. Lei è entrato in un periodo che gli antichi conoscevano, lo chiamavano la ‘Notte oscura dell’anima’”.
Gerald si asciugò gli occhi e si appoggiò nuovamente allo schienale della sedia. “Che significa ‘la Notte oscura dell’anima’?” mi domandò. “Perché non ne ho mai sentito parlare?”.
La Notte oscura dell’anima è un periodo della propria vita in cui siamo attirati dentro una situazione che mette ciascuno di noi a confronto con le proprie peggiori paure”, risposi. “Di solito questo momento arriva quando meno ce lo aspettiamo, spesso senza alcun preavviso. Il fatto è”, continuai, “che possiamo venire coinvolti in questa esperienza solo quando le lezioni di vita che abbiamo già acquisito danno il segnale che siamo pronti ad accoglierla! Allora, proprio quando sembra che la nostra vita sia perfetta, l’equilibrio che abbiamo raggiunto dà il segnale che siamo pronti per un cambiamento. Il seducente impulso che ci spinge a creare un mutamento è rappresentato da qualcosa che abbiamo desiderato per molto tempo e a cui, semplicemente, non sappiamo resistere. In caso contrario, non faremmo mai quel passo!”.
“Vuol dire un impulso seducente come quello che ci conduce verso un nuovo rapporto amoroso?” – chiese Gerald.
“Esattamente come quello”, risposi. “Una nuova relazione è proprio uno dei tipi di catalizzatore che ci promettono di farci evolvere”. Continuai spiegando che, anche se sappiamo già di essere perfettamente in grado di sopravvivere a qualunque cosa ci piombi addosso nella vita, non è nella natura umana svegliarsi un mattino e dire: “Hm… oggi penso che darò via tutto ciò che amo e che mi è più caro per dare inizio alla mia Notte oscura dell’anima”. Proprio non funziona in quel modo. 

Come spesso accade, le grandi prove della nostra Notte oscura dell’anima sembrano arrivare quando meno ce lo aspettiamo.

La possibilità che la vita ci fornisca esattamente ciò di cui abbiamo bisogno, nel preciso momento in cui ne abbiamo bisogno, di per sé ha molto senso. Proprio come è impossibile riempire d’acqua un bicchiere se prima non si “apre” il rubinetto, anche se il fatto di avere una cassetta ricolma di attrezzi emotivi rappresenta il meccanismo che segnala al rubinetto della vita di mandare un cambiamento. Finché non diamo l’impulso al flusso, non può accadere nulla. L’altra faccia di questa dinamica è che, quando ci troviamo effettivamente immersi in una Notte oscura dell’anima, può essere rassicurante sapere che il solo motivo per cui siamo finiti in un luogo come quello è che siamo stati noi a dare il via. Che ne siamo consapevoli o meno, siamo sempre pronti per ricevere quello che la vita ci manda.

Le nostre più grandi paure.

Lo scopo della “Notte oscura dell’anima” è darci la possibilità di sperimentare e guarire le nostre più grandi paure. Il dato realmente interessante sulla Notte oscura dell’anima è rappresentato dal fatto che, poiché tutti hanno paure diverse, ciò che ad alcuni appare come un’esperienza spaventosa per altri può rappresentare una cosa da niente. Ad esempio, Gerald ammise che la sua più grande paura era quella di essere lasciato solo. Quella stessa sera, prima di incontrarlo, avevo chiacchierato con una donna che invece mi aveva confidato che per lei “stare da sola” rappresentava la gioia più grande.
Non è raro che chi ha paura di restare solo diventi un maestro nei rapporti in cui si sperimenta proprio quel timore. Gerald, ad esempio, mi descrisse storie d’amore, di amicizia e di lavoro del suo passato, che non sarebbero potute durare neanche in un milione di anni! Quando ognuno di quei rapporti era finito, aveva creduto che si fosse trattato di un “fallimento”, in realtà, erano tutti così ben riusciti, da avergli permesso di incontrare la sua paura più grande, quella di restare solo. Tuttavia, non essendo mai guarito da quei rapporti, né avendo mai individuato gli schemi presenti nella sua vita, Gerald si era ritrovato a vivere situazioni in cui la sua paura era diventata sempre meno impalpabile. Alla fine, la sua vita l’aveva portato al punto in cui quella paura era diventata talmente ovvia da obbligarlo ad affrontarla, per poter continuare a vivere.

Anche se è possibile attraversare molte Notti oscure dell’anima nell’arco di una vita intera, di solito la prima è la più difficile. Probabilmente rappresenta anche il più potente agente di cambiamento. Una volta capito “perché” soffriamo così tanto, l’esperienza comincia ad acquistare un nuovo significato. Quando riconosciamo i segnali di una Notte oscura, possiamo dire a noi stessi: “Ah! Conosco questo schema! Si, certo, si tratta proprio di una Notte oscura dell’anima, non c’è dubbio. Allora, cos’è che devo imparare a fare?”.
Conosco persone che hanno acquisito talmente tanta forza grazie al superamento di un’esperienza di Notte oscura, che sfiderebbero quasi l’universo a mandarne un’altra. Lo fanno semplicemente perché sanno che, se non riuscite a sopravvivere alla prima, possono sopravvivere a qualunque cosa. Solo quando abbiamo quel tipo di esperienze senza riuscire a comprendere cosa rappresentino realmente per noi, o il motivo per cui le viviamo, ci può accadere di trovarci imprigionati per anni, o perfino per molte vite, in uno schema che può letteralmente rubarci proprio le cose a noi più care… come la vita stessa.
Fonte: La Matrix divinaUn ponte tra tempo, spazio, miracoli e credenze. Gregg Braden

La Notte oscura dell’anima per l’intera umanità è essere alle prese con l’Antisistema. Oggi ho compreso “dove sono” e “con cosa ho a che fare”. Infatti il linguaggio sincronico aveva parlato già ieri sera attraverso la visione del film “Lemony Snicket - Una serie di sfortunati eventi”. Film paradossale, buio, depressivo, in cui 3 giovani fratelli e sorelle si trovano alle prese con un “parente” che mira esclusivamente alla loro eredità. Ebbene, resistendo assiduamente sino alla fine, siamo stati premiati da una poetica e filosofica visione d’insieme, in grado di alleggerire di colpo tutto il resto della visione e nobilitare la Vita e la pregevole opportunità di potervi fare parte. Ringrazio per questo e per "moltissimo altro" mia moglie Silvia:

“Caro lettore, al mondo ci sono persone che non conoscono né sofferenza né pena, e traggono conforto da allegri film su cinguettanti uccellini e ridacchianti elfi felici. Ci sono persone che sanno che c'è sempre un mistero da risolvere e traggono conforto nel ricercare ed appuntare qualunque indizio importante. Ma questa storia non riguarda tali persone. Questa storia riguarda i Baudelaire, e loro sono il genere di persone che sanno che c'è sempre qualcosa, qualcosa da inventare, qualcosa da leggere, qualcosa da mordere e qualcosa da fare per creare un rifugio, per quanto piccolo.
Per questo motivo sono felice di dire che i Baudelaire erano molto fortunati.”

Meraviglioso!