venerdì 18 dicembre 2009

Spezzare le "catene".









Sulla Terra siamo proprio in tanti. Il fattore “replicativo” gioca ormai un ruolo molto importante nella diffusione delle cosiddette “mode”, moderne definizioni del termine più oscuro di “eggregore”. A ben pensarci sembra proprio che una delle specialità dell’Antisistema sia proprio quella di plasmare il “credo” della massa utilizzando due caratteristiche ben distinte ed efficaci:
  • la “viralità” del fenomeno
  • l’utilizzo della massa a sua insaputa
Cosa significa? Che questa “energia” di controllo utilizza l’effetto esponenziale della trasmissione di un “messaggio”, innescando la “massa” ed utilizzandola come un “lapis” magico. Questa “matita” costituita da tutti noi, ha capacità di “disegno” uniche e assolutamente necessarie per la sopravvivenza del “controllo”. E non serve nemmeno avere una visione spirituale della nostra natura divina per comprendere questo concetto, infatti è sufficiente comprendere il fenomeno anche puramente dal punto di vista “matematico”. Ecco spiegata molto in breve la funzione dei mass media; di questi enormi ripetitori, megafoni, polarizzatori del comune pensiero. Vado al sodo. Ciò che oggi sembra così tanto “pulito” e lontano da certe speculazioni di tipo “occulto”, lo è solo in termini di linguaggio. Ossia utilizzare il termine “moda” o “tendenza” o “stile” o addirittura “cultura” o “informazione” o “legge” è una gabbia relativa alla comprensione limitata del singolo termine. Nella realtà delle “cose” l’operazione effettuata nel tempo è stata di cancellare e riprogrammare l’inconscio della massa. Oggi non si parla più di “incantesimo” ma di “informazione di massa” diffusa, ad esempio, attraverso la televisione; ma non solo, persino il “luogo comune” che ci colpisce in ogni modo attraverso il “passa parola”, perpetrato dalla massa stessa, agisce dall’interno con capacità esplosive, anche se l’origine del fenomeno è sempre un “lavaggio del cervello” ricevuto a priori.
Il linguaggio è un virus
(William S. Burroughs)

 
Viviamo su un “piano” caratterizzato dal ribaltamento dell’ottica tramite la quale si “giudica”. Il frattale di questa asincronia è rispecchiato nelle epidemie di massa, nella tendenza alla classificazione, nella specializzazione, nella diffusione di apparecchi informatici che isolano e rendono virtuale la “conoscenza” degli altri, nella tipologia di programmi tv come telenovelas infinite, Grande Fratello, gossip, reality, etc.
Anche la scienza e le religioni rispecchiano questo “timbro” di imposizione massiva delle proprie verità di natura “riduzionistica”. La società descrive “curve” che si appiattiscono e “cerchi” chiusi, combatte la diversità, il nuovo, l’evoluzione. Le forme pensiero in auge agiscono da deterrente verso i cosiddetti “contrari”, i quali non trovano spazio o, se lo trovano, vengono dipinti come fenomeni da baraccone ed in questo modo, “bucano lo schermo”.
Il “contrario” gestito in questa maniera rischia di trasmutare negativamente se stesso, improvvisamente gettato nella “mischia” ed infarcito del successo misero dell’incomprensione, ed in luogo di un cambiamento del paradigma avviene invece una classificazione, mediante fagocitazione, del contrario stesso in “nuovo adattato”. E l’incantesimo prosegue indisturbato…

 
Un meme è una riconoscibile entità di informazione relativa alla cultura umana che è replicabile da una mente o un supporto simbolico di memoria - per esempio un libro - ad un'altra mente o supporto. In termini più specifici, un meme è "un'unità auto-propagantesi" di evoluzione culturale, analoga a ciò che il gene è per la genetica. La parola è stata coniata da Richard Dawkins nel suo controverso libro Il gene egoista (The Selfish Gene, 1976).
Un meme può essere parte di un'idea, una lingua, una melodia, una forma, un'abilità, un valore morale o estetico; può essere in genere qualsiasi cosa può essere comunemente imparata e trasmessa ad altri come un'unità. Come l'evoluzione genetica, anche l'evoluzione memetica non può avvenire senza mutazioni. La mutazione produce varianti di cui solo le più adatte si replicano; ossia: diventano più comuni ed aumentano la loro probabilità di replicarsi ulteriormente. In fondo, il termine meme è usato per indicare un qualsiasi pezzo di informazione che viene trasmesso da una mente ad un'altra. Questa interpretazione è più simile all'idea del "linguaggio come virus" piuttosto che all'analogia di Dawkins dei memi come comportamenti replicantisi.
« La chiave di ogni uomo è il suo pensiero. Benché egli possa apparire saldo e autonomo, ha un criterio cui obbedisce, che è l'idea in base alla quale classifica tutte le cose. Può essere cambiato solo mostrandogli una nuova idea che sovrasti la sua »
(Ralph Waldo Emerson)

Fonte: Wikipedia

Questo sapere è noto dagli albori del tempo, anzi si perde proprio negli albori del tempo. Volete che non sia stato utilizzato da una certa “energia” al fine di plasmare il proprio “sogno”? Basta osservare il mondo con occhio “staccato”, proprio come si fa, ad esempio, in un momento di relax nel quale ci si estranea completamente dal “peso” dei problemi sociali. Librandosi al di sopra della dimensione “usuale”, attiviamo la nostra capacità di agganciare una frequenza più “alta” nella quale regna lo Spirito. Ci permeamo brevemente nella nostra vera essenza e, da quel punto di osservazione, tutto appare “chiaro”. È una modalità esistenziale che richiede una “attivazione” volontaria, tramite lo spegnimento della mente logica. Cosa succede in quei momenti (ho presente quel lasso di tempo che trascorre dopo l’atto del fare l’amore); che la comprensione naturale si allarga a dismisura e va ad abbracciare il conosciuto con una modalità diversa, omnicomprensiva. Prendiamo anche decisioni importanti in quei momenti, che tuttavia svaniscono al ritorno dal “viaggio”. Perché? Perché ci rimettiamo nello stagno dell’abitudine costellata dal “baco” dei problemi e delle paure quotidiane. Ma queste sensazioni negative da dove nascono? Avete mai provato emozioni di ansia, di dover fare, di essere preoccupati per qualcosa e, mentre vi chiedete “Ma perché sono ansioso?” comprendere che in realtà non c’è nessun motivo? E non appena ci si rende conto di questo, la consapevolezza risulta allargata. È quello un momento magico per approfondire il meccanismo. Momento magico che subito viene quasi sempre sottratto dalle infinite forme d’interferenza alle quali siamo soggetti:


“Nell'occultismo, il termine eggregora o egregora (dal greco per "vegliare", "vigilare"), talvolta definita anche larva astrale si riferisce a una entità che viene creata nel piano astrale attraverso opportune cerimonie come riflesso del subconscio dei suoi creatori. L'uso del termine "eggregora" in questo senso si trova negli scritti di Aleister Crowley. Secondo alcuni filoni dell'occultismo, le eggregore possono essere create anche inconsapevolmente da un pensiero ossessivo e possono nuocere alla persona di cui sono parassite, sottraendole energia vitale. Ne parla Anne Givaudan nel libro "Forme-pensiero", Edizioni Amrita, 2004”
Fonte: Wikipedia


L’utilizzo di certi termini come “occultismo” è stata abiurata dall’Antisistema; il solo pronunciare certe parole ci fa sentire sporchi dentro. Perché? Ecco spiegato brevemente con un esempio tipico, quello appena descritto nella frase precedente, il concetto di “eggregora”. 

Cosa significa “occultismo”?

“La parola occulto deriva dal latino occultus (nascosto) e si riferisce alla 'conoscenza di ciò che è nascosto', o anche 'conoscenza del sovrannaturale', in antitesi alla 'conoscenza del visibile', ovvero alla scienza. Il significato moderno del termine è spesso tradotto in modo errato, intendendo 'sapere nascosto', 'conoscenza riservata a pochi' o 'sapere che deve rimanere nascosto'. Per gli occultisti invece si tratta dello studio di una realtà spirituale più profonda che non può essere compresa usando puramente la ragione o la scienza materiale”.
Fonte: Wikipedia


Il solo leggere la definizione più intima del termine cambia la nostra frequenza, vi siete accorti? Dunque occorre capire in profondità che siamo sottoposti in ogni istante della nostra vita a modelli di "impressione" del pensiero che lavorano sul nostro inconscio, programmandoci come macchine, che vengono poi utilizzate per “fare altro”.
Un altro esempio in questo senso è il senso dispregiativo che ormai suscitano nell’opinione pubblica le cosiddette “Catene di S.Antonio”:


“Una catena di sant'Antonio è un sistema per propagare un messaggio inducendo il destinatario a produrne molteplici copie da spedire, a propria volta, a nuovi destinatari. È considerato un tipo di meme. Tra i metodi comunemente sfruttati dalle catene di sant'Antonio vi sono storie che manipolano le emozioni, sistemi piramidali che promettono un veloce arricchimento e l'uso della superstizione per minacciare il destinatario con sfortuna, malocchio o anche violenza fisica o morte se "rompe la catena" e rifiuta di aderire alle condizioni poste dalla lettera”.

Fonte: Wikipedia

Ma da dove viene questa “usanza”, qual è l’origine più vicina a noi? Eccola:


“Le catene di sant'Antonio traggono il proprio nome (nella lingua italiana) dal fenomeno che consisteva nell'inviare per posta lettere ad amici e conoscenti allo scopo di ottenere un aiuto ultraterreno in cambio di preghiere e devozione ai santi (Sant'Antonio è considerato uno dei santi oggetto di maggiore devozione popolare). Negli anni cinquanta del Novecento erano infatti diffuse lettere che iniziavano con "Recita tre Ave Maria a Sant'Antonio" e proseguivano descrivendo le fortune capitate a chi l'aveva ricopiata e distribuita a parenti e amici e le disgrazie che avevano colpito chi invece ne aveva interrotto la diffusione. Ancor più antica è la versione che circolava durante la prima guerra mondiale sotto forma di preghiera per la pace, che fu interpretata da ministri e funzionari di pubblica sicurezza come propaganda nemica da sopprimere”. 

Fonte: Wikipedia

Una preghiera per la pace propaganda nemica da sopprimere?
Ecco svelata la funzione di queste catene. Era una funzione a fin di bene non dissimile da una preghiera effettuata dai cari di persone bisognose. La vera origine, secondo me, affonda nei millenni e parte dalla conoscenza che la nostra “intenzione” veicola energia vitale verso il punto osservato. Cioè esprime quella conoscenza cancellata, nel tempo, dall’Antisistema e riscoperta dalla fisica quantistica. L’unico modo per attingere a grosse fonti di energia è di creare una “forma pensiero” o “eggregora” e di agganciarla mentalmente alla massa, al fine appunto di creare e veicolare “energia vitale”. Colui che diffonde questo vero e proprio incantesimo ha uno scopo e coinvolge l’intera “platea” inconsapevole. Lo “scopo” prende corpo man mano che la massa viene coinvolta e che si “piega” all’effettuare anche fisicamente quello che gli viene “imposto” subliminalmente. Quando c’è sufficiente massa critica lo scopo si manifesta dimensionalmente fissandosi nella densità della materia. E siamo unicamente noi, la massa, a permetterlo! Quindi ecco il perché ci è stato “fatto credere” che le Catene di S.Antonio sono solo delle truffe, perché hanno una importanza basilare nella comprensione del fenomeno della catalizzazione dell’energia e dunque nella capacità di “determinare” gli avvenimenti. Il “mezzo” ha queste caratteristiche che, molti uomini, non hanno esitato ad utilizzare per proporre truffe, non lo nego; ma è la comprensione delle potenzialità del “mezzo” che occorre “vedere”… senza demonizzarlo. Perché? Perché noi possiamo determinare il "cambiamento" in un’era precessionale nuova che ci spinge proprio a farlo, che ci incoraggia. Dunque ecco svelato il "pericolo" di cambiamento che sta dietro alla costruzione di una “eggregora” e che incombe su chi l’ha creata e su coloro che hanno contribuito a diffonderla:


Quando la “catena” si ferma, l'energia in “gioco” si riversa sull’origine e sui gangli di diffusione creando un effetto shock o corto circuito. Questa “modalità” non è controllabile al di fuori della sua partenza e non si può fermare.


Siamo noi che facciamo la differenza…
Siamo noi la causa, il mezzo, il tramite, il destinatario.

Il "corto circuito" è proprio quello che sta iniziando a succedere in questi anni.
La "catena" si sta finalmente spezzando...   
 

giovedì 17 dicembre 2009

Le alchimie del "Piccolo Chef".






- Non puoi cambiare la natura.
- Cambiare fa parte della natura, papà.
- Dove stai andando?
- Con un po' di fortuna, avanti

La visione di questo “fulminoso” film è sempre qualcosa di speciale, insomma “sa sorprendere”. Il parallelismo acrobatico dei significati con la vicenda evolutiva umana, spero non passi inosservato, perché queste animazioni eccezionali per “bambini” sono rivolte ai cuori dell’intera umanità. Dalla salita di Remy che lo porta dalle fogne alla consapevolezza del cielo di Parigi, al magnifico trionfo finale che unisce e “trasmuta” la grande famiglia dei “roditori”. Dentro c’è tutto “quello che serve”, proprio come nella saporita minestra preparata a quattro mani dai protagonisti della “storia”. Trova spazio persino il confronto tra generazioni e relativi paradigmi esistenziali, e la “spinta” del nuovo ad andare avanti, oltre le “apparenze”. L’arte e la sensibilità del “Piccolo Chef” rappresentano il potenziale insito nella creazione ad ogni livello ed il motto di Gusteau lo testimonia: “chiunque può cucinare”. Volevo scrivere queste quattro righe per celebrare un’opera molto coraggiosa e divertente che, non verrà presa troppo sul serio dalle persone, ma che racchiude una marea di intenti altamente nobili ed illuminati. Un sontuoso grazie a tutti coloro che hanno partecipato alla sua fantastica e commovente realizzazione. Chapeau!

"Per molti versi la professione del critico è facile: rischiamo molto poco pur approfittando del grande potere che abbiamo su coloro che sottopongono il proprio lavoro al nostro giudizio. Prosperiamo grazie alle recensioni negative che sono uno spasso da scrivere e da leggere. Ma la triste realtà a cui ci dobbiamo rassegnare è che nel grande disegno delle cose, anche l'opera più mediocre ha molta più anima del nostro giudizio che la definisce tale. Ma ci sono occasioni in cui un critico qualcosa rischia davvero. Ad esempio, nello scoprire e difendere il nuovo. Il mondo è spesso avverso ai nuovi talenti e alle nuove creazioni: al nuovo servono sostenitori! Ieri sera mi sono imbattuto in qualcosa di nuovo, un pasto straordinario di provenienza assolutamente imprevedibile. Affermare che sia la cucina, sia il suo artefice abbiano messo in crisi le mie convinzioni sull'alta cucina, è a dir poco riduttivo: hanno scosso le fondamenta stesse del mio essere! In passato non ho fatto mistero del mio sdegno per il famoso motto dello chef Gusteau "Chiunque può cucinare!", ma ora, soltanto ora, comprendo appieno ciò che egli intendesse dire: non tutti possono diventare dei grandi artisti, ma un grande artista può celarsi in chiunque. È difficile immaginare origini più umili di quelle del genio che ora guida il ristorante Gusteau's e che secondo l'opinione di chi scrive, è niente di meno che il miglior chef di tutta la Francia! Tornerò presto al ristorante Gusteau's, di cui non sarò mai sazio" (Anton Ego)


Scontro di volontà.







Il terreno di mezzo della presenza mentale, ovvero mantenere la mente tra il mi-piace e il non-mi-piace. Di Ajahn Vimalo, da discorsi tenuti a Settefrati il 22 e il 27 luglio 2007
“…Ho come perso un po’ il filo… ché avevo intenzione di parlare dell’irrequietezza e della preoccupazione e del dubbio, ma poi ho pensato che avrei parlato del mio approccio alla presenza mentale. Semplice, ma può essere difficile da mettere in parole. È qualcosa che io vedo come un’esperienza al di là delle parole…”.

Stavo iniziando a leggere questo pdf trovato in “rete”, quando mi è balenata la sensazione esatta di cosa sia una “immagine” e quasi di doverlo scrivere come autentico “dovere”. A dir la verità l’idea era già viva, oppure è nata durante la notte, nel sonno, e chissà in quale “regno” della coscienza multidimensionale. Mi sono svegliato questa mattina con una frase nella testa “La potenza delle immagini” e, mentre dormivo, era tutto talmente chiaro che, quella parte di me agganciata ancora al “controllo” di tipo inconscio, pensava – “Non ho bisogno di svegliarmi perché è tutto chiaro, non ho bisogno di prendere appunti perché me lo ricorderò ancora, una volta sveglio”. Ebbene quella “immagine” che recava in sé il significato olografico del “senso” di quella vera e propria trasmissione di “sapere”, una volta sveglio, è letteralmente svanita. La sua essenza più profonda o, a tuttotondo, è scomparsa lasciando dietro di sé unicamente una scia di emozionalità. Il vago sentire, come un umore legato addirittura al palato, di quello che era stata. Da questa “avventura” senza nome, ho tratto il desiderio di “attorcigliarmi” attorno alla dimensione ed al senso intimo che descrive la visione di una “immagine”.

"Un'immagine è una metodica di rappresentazione secondo coordinate spaziali indipendenti di un oggetto o di una scena. Contiene informazioni descrittive riferite all'oggetto, alla scena che rappresenta: un'immagine è quindi una distribuzione (che può essere bi o tri-dimensionale) di un'entità fisica. Il linguaggio delle immagini è intrinsecamente indeterminato, evocativo, dotato di segni che assumono valore simbolico in relazione al significato che attribuiamo a ciò che osserviamo o al valore pragmatico degli scopi della comunicazione.
La computabilità delle immagini invece risulta ben definita e formalizzata:

  • Analisi di immagini 
  • Sintesi di immagini
Nell'analisi è necessario avere dispositivi in grado di creare una rappresentazione numerica della distribuzione di luminosità di una scena. Nella sintesi, invece, è necessario disporre di rappresentazioni geometrico-matematiche di forme così da ricavare delle distribuzioni di luminosità che appaiano sullo schermo di un computer. Le immagini sono generate dalla combinazione di una sorgente di energia e dalla riflessione dell'energia emessa dalla sorgente da parte di oggetti di una scena. Occorre un “sensore” sensibile all'energia prodotta dalla sorgente che raccolga l'energia “irradiata” dalla scena. C'è da tenere presente, inoltre, che punti diversi sulle superfici degli oggetti avranno nell'immagine valori diversi di intensità in funzione della quantità di energia radiante incidente sulla superficie, del modo in cui esse riflettono, del modo in cui l'energia riflessa è raccolta dal sensore, del modo in cui il sensore risponde all'energia con cui è colpito”.
Fonte: Wikipedia

Chiediamoci quale sia la “sorgente”, gli “oggetti della scena” ed il “sensore” quando siamo immersi nello stato del sonno.  Ecco la mia interpretazione:

  • sorgente = energia a livello dell’anima
  • oggetti della scena = il contesto creato dalle nostre “domande”
  • sensore = la nostra attenzione consapevole a livello dell’inconscio (non è un paradosso a questo livello, perché interfacciamo solo termini relativi al linguaggio della veglia in un mondo dove il linguaggio stesso perde le proprie connotazioni relative al significato della comunicazione; dove in pratica non descrive nulla al di fuori della propria funzione di “interfaccia” tra uomo e uomo)
Cosa manca affinché questa “radiazione” emessa dalla sorgente, riflessa dalla dimensione più densa e colta dal sensore della psiche, venga memorizzata e riportata oltre il velo del “sonno”? Manca l’espressione della volontà di volerlo fare, di volere ricordare. Il substrato sensibile alla memorizzazione di quanto appreso dalla sorgente è autorizzato all’attivazione se riceve l’ordine polarizzante della nostra volontà e ciò presuppone l’esistenza di una struttura superiore che motivi a spingere in questo senso. Come a dire che la sorgente che viene sensibilizzata alla trasmissione dell’onda di informazione, rispondendo ad un preciso input o richiesta che viene dal “basso” è, allo stesso tempo, la responsabile che “ricorda e spinge il basso a chiedere” tramite il “senso della Vita”. Un cerchio che tende a chiudersi, che intende ritrovarsi, che chiede di comprendere, memore del sentore di chi si è nella propria e vera essenza, la quale, spinge e spinge e spinge e spinge sempre. Quello che "ci capita" è impregnato di questa “spinta” evolutiva. Come il moto rotatorio di un globo planetario nel “vuoto” dello spazio. Una spinta originaria che tutto muove e che tutto “marchia”. Come la traiettoria elicoidale di una foglia che cade dall’albero, descritta preventivamente dall’analisi della forma, rappresentata dalla densità e modalità di affinità dei componenti strutturali della foglia stessa.
Manca dunque la vera volontà di ricordare e riportare le informazioni da questa parte del “velo”. L’area preposta allo stoccaggio dei “dati” esiste eccome, non è questo il problema. È sufficiente analizzare la modalità con la quale internet offre spazio gratuito ad una mole impressionante di informazioni giornaliere. Dove si collocano in realtà tutti questi dati? Nelle macchine preposte al loro stoccaggio. E dato che l’uomo è un frattale del Creatore, l’uomo ha creato il frattale stesso della creazione e, in questo, ha trovato il modo di simulare i registri Akasici, nei quali è impresso ogni istante di ogni nostra vita. Il problema non sono i mezzi, ma la volontà di utilizzarli, perché il nostro focus di consapevolezza determina la stesura del programma di Vita…

“La teoria della computabilità effettiva si occupa della esistenza o meno di algoritmi risolutivi di problemi. Fra i suoi fondatori vi è Alan Turing. Una funzione si dice computabile se esiste un algoritmo che la calcola. Esistono molte formulazioni di ciò che è un algoritmo. La nozione di computabilità traduce rigorosamente, tramite la nozione di funzione e la nozione di algoritmo, la possibilità di svolgere un certo tipo di compito ovvero risolvere un certo tipo di problema applicando un procedimento meccanico pre-stabilito. È molto importante sapere se un dato lavoro può essere svolto da una macchina, ovvero da una persona non in grado di prendere decisioni autonome, oppure è richiesta la presenza di una persona chiamata a decidere caso per caso, o almeno nei casi più difficili, correndo anche il rischio di sbagliare. Molti problemi possono essere risolti dalle macchine, ma ne sono noti alcuni non risolubili da nessuna macchina”.
Fonte: Wikipedia

Volontà come algoritmo che risolve la funzione del ricordo. Volontà di estendersi oltre le armoniche della confusione e dell’illusione alla quale è sottoposto l’uomo-macchina:
“È molto importante sapere se un dato lavoro può essere svolto da una macchina, ovvero da una persona non in grado di prendere decisioni autonome, oppure è richiesta la presenza di una persona chiamata a decidere caso per caso, o almeno nei casi più difficili, correndo anche il rischio di sbagliare”
L’anima, correndo il rischio anche di sbagliare (libero arbitrio), assiste la sua estensione più densa che è impegnata nell’arduo compito esperienziale, molto “lontana” in termini di frequenza e difficilmente contattabile a causa delle “tempeste” vibrazionali dovute alla bassa densità dell’energia. Cosa ci porta all’evidenza, per analogia, questa “immagine” appena descritta?
Una missione dell’uomo nello spazio con lo scopo di atterrare su un altro pianeta per conoscerlo. Dalla base spaziale a terra, l’uomo controlla l’uomo tramite sistemi inventati dall’uomo, i quali hanno in questo momento un ruolo di importanza fondamentale per il buon esito della missione. Ma dietro alla missione cosa spinge la missione stessa? Ancora l’uomo che è mosso dalla volontà di esplorare il cosmo. Perché? Perché l’uomo è un frattale del Creatore…

Quante informazioni racchiude in sé la visione di una immagine? Guardiamo la Terra dallo spazio e pensiamo a quanti “livelli” contiene una simile scena. Penso di avere reso l’idea, no?

“Ho citato un altro esempio usato da Ajahn Chah: l’immagine di un’unica sedia in una stanza. Immagina di essere seduto su quest’unica sedia in una stanza, con vari ospiti che vengono nella stanza e cercano di farti spostare. Arriva una splendida donna, se sei un uomo, o un bell’uomo, se sei una donna, e cercano di farti spostare dalla tua sedia. Tentano di sedurti allo scopo di farti cedere la sedia – “Dai, alzati da quella sedia” – ti dicono. Tu li vedi arrivare ma resti sulla sedia. Loro possono trattenersi per un po’, danzando davanti a te, ma tu resti fermo al tuo posto. Dopo un po’ di tempo, tanto o poco che sia, gli avventori si rendono conto che non hai intenzione di mollare la sedia, e allora sono loro ad andarsene. Dei mostri potrebbero poi venire a tentare di terrorizzarti per farti cadere dalla sedia, ma uno prende la risoluzione di non muoversi fino a quando anche loro non abbiano desistito dal loro intento e se ne siano andati. Semplicemente conoscerli, ossia essere testimone del loro giungere e andar via. Basta questo. Nel corso del tempo, sarà sempre meno quello che ti verrà a disturbare. Non vuol dire che loro smetteranno di venire. È che non riescono a farci spostare. Si potrebbe dire che diventano irrilevanti. Quando mi guardate, o io vi guardo, in questo c’è un conoscere. Questo conoscere è già presente in noi, ma quello che succede è che si presentano le sensazioni e i pensieri con cui ci identifichiamo, e sono loro a scalzare noi anziché noi a conoscere loro con il semplice stare fermi su quella sedia, lasciando che se ne vadano pacificamente”.
Fonte: Il terreno di mezzo della presenza mentale, ovvero mantenere la mente tra il mi-piace e il non-mi-piace. Di Ajahn Vimalo, da discorsi tenuti a Settefrati il 22 e il 27 luglio 2007