Viviamo in una densità del tempo, diversa dal solito, in questi anni: più eterea.
Una densità da vicinanza di un cambiamento sempre più maturo, da spirito di frontiera, da commistione fra nuovo e vecchio. E nel rapporto di “miscela” ci muoviamo in maniera nuova, come in sfere di tempo leggere e trascinate all’apparenza. Tante bolle portate dalla corrente. A volte stiamo a testa in giù, altre volte di traverso e poi, quando a testa alta affrontiamo una nuova giornata, ci chiediamo cosa ci sia di strano oggi. Sensazioni di piccole “punture” qua e là, agitano il panorama corporeo.
Cosa mai avremo mangiato la sera prima?
Allora un senso come di paracadutismo o di nausea ci trapassa, alla velocità della luce, per poi lasciarci solo un retro pensiero di sollievo: “per fortuna il dolore non si è fermato, altrimenti mi avrebbe ucciso”. E, solo per questo, sentiamo sollievo e siamo persino felici.
Questione di prospettive diverse.
La forza di uno scampato pericolo? O lo shock addizionale per spingerci avanti? Che importa? Il risultato corrisponde alla spinta universale, al suo incoraggiamento a “ritrovarsi”. Il landing sul pianeta è stato difficile. Dove si trova adesso l’astronave madre? Abbiamo perso i contatti? Non udiamo più nessuna voce attraverso il nostro sistema ghiandolare oppresso? Cosa stiamo facendo per ripararlo? Sarà opportuno ripararlo? Oppure è meglio vivere lungamente come Ulisse sull’isola della maga Circe?
Osserviamoci da “altezze” diverse; osserviamo non gli altri ma noi stessi… le nostre "regole" le stiamo scrivendo noi?
In un momento della nostra storia individuale siamo caduti opportunamente: siamo venuti qua proprio per questo!
Cadiamo per imparare a rialzarci con “gambe” sempre più solide. Ecco lo scopo…
Sarà l’unico?
Mi ha colpito molto ciò che ha segnato il pensiero e dunque la Vita del Pascoli, ad esempio:
Pascoli ebbe una concezione dolorosa della vita, sulla quale influirono due fatti principali: la tragedia familiare e la crisi di fine ottocento.
La tragedia familiare colpì il poeta quando il 10 agosto del 1867 gli fu ucciso il padre. Alla morte del padre seguirono quella della madre, della sorella maggiore, Margherita, e dei fratelli Luigi e Giacomo. Questi lutti lasciarono nel suo animo un'impressione profonda e gli ispirarono il mito del "nido" familiare da ricostruire, del quale fanno parte i vivi e idealmente i morti, legati ai vivi dai fili di una misteriosa presenza. In una società sconvolta dalla violenza e in una condizione umana di dolore e di angoscia esistenziale, la casa è il rifugio nel quale i dolori e le ansie si placano.
L'altro elemento che influenzò il pensiero di Pascoli, fu la crisi che si verificò verso la fine dell'Ottocento e travolse i suoi miti più celebrati, a cominciare dalla scienza liberatrice e dal mito del progresso. Pascoli, nonostante fosse un seguace delle dottrine positivistiche, non solo riconobbe l'impotenza della scienza nella risoluzione dei problemi umani e sociali, ma l'accusò anche di aver reso più infelice l'uomo, distruggendogli la fede in Dio e nell'immortalità dell'anima, che erano stati per secoli il suo conforto:
...tu sei fallita, o scienza: ed è bene: ma sii maledetta che hai rischiato di far fallire l'altra. La felicità tu non l'hai data e non la potevi dare: ebbene, se non hai distrutta, hai attenuata oscurata amareggiata quella che ci dava la fede...
Fonte: www.cronologia.leonardo.it
Una storia tremenda di sofferenza, terminata essa stessa con la morte per cancro. Quando una malattia terminale come il cancro ci colpisce è perché non abbiamo compreso a fondo le lezioni che la Vita voleva insegnarci. Non abbiamo avuto la giusta chiave di lettura dello scopo della malattia, perché ci sfuggiva lo scopo della Vita e, dunque, sfuggiva il senso della nostra esistenza in Terra.
Ma tutto ciò descrive solo un processo di lenta maturazione, come il frutto sull’albero, che avviene di incarnazione in incarnazione. Nulla è mai perduto…
“Il giorno fu pieno di lampi;
ma ora verranno le stelle,
le tacite stelle…”
Da “La mia sera” di Giovanni Pascoli