lunedì 23 agosto 2010

Triangolare "dove siamo" comprende la Vita.





Ho un ragionevole dubbio:
  • ciò che vogliamo sapere giunge a noi molto più regolarmente con la maggiore pratica dell’esercizio “io sono”
  • ciò che vogliamo sapere giunge a noi regolarmente anche senza pratica dell’esercizio “io sono”

Cioè? Mi sembra chiaro che ciò che "vogliamo sapere" giunge sempre a noi, ma cosa è l’esercizio “io sono”?

Questo “esercizio” è il lavoro che si compie su di sé, con regolarità, istante dopo istante, giorno dopo giorno, anno dopo anno. Non intendo la pratica della meditazione o solo la pratica della meditazione; intendo il semplice vivere con  “porta e finestre” sempre ben "aperte".

Se noi lasciamo le aperture verso il mondo, verso gli altri, spalancate è come se dichiarassimo chiaramente che non abbiamo nulla da temere nei confronti di noi stessi e di ogni altra persona e/o evento della Vita. Questa apertura d’animo, questa propensione ad accettare la Luce in noi, compie nel tempo un lavoro di pulizia ed energizzazione senza eguali. Vivendo su queste lunghezze d’onda, l’Universo ha più possibilità di raggiungerci per aiutarci o, semplicemente, esaudire i nostri desideri. 

È come se accettassimo la nostra Natura divina sulla fiducia, cioè anche in assenza di “prove” certe, in virtù di un sentire interiore molto profondo, come una traccia di ricordo molto labile ma degna di nota. 

Questa fiducia corrisponde a quello che le religioni hanno chiesto unilateralmente nel corso della loro storia costituita da promesse basate proprio sulla “fede”. L’atto di fede richiesto ha però contribuito ad allontanare da se stessi e, dunque, dal lavoro “io sono”, al fine di agganciare una struttura “celeste” che risiede al di fuori di noi e che ci ha pressoché abbandonati per delle presunte “colpe” di natura ancestrale:

“Padre nostro che sei nei cieli…”

La “fede” che viene richiesta di sviluppare è un atto di sottomissione ad un principio “oscuro”, non chiaro, e determina la perdita del nostro potere personale, della nostra energia, della capacità, volontà, senso, dell’esercizio “io sono”.

È come votarsi ad uno degli innumerevoli “santi” al fine di ottenere la “grazia”.

Quando leggiamo della legge d’attrazione, allora cosa significa? Se accettiamo di credere che esiste, come possiamo inquadrarla se la rifiutiamo aggirandola? Una intercessione superiore dovuta ad una preghiera rientra ancora nel campo del risultato della legge d’attrazione. Come dire: in un modo o nell’altro ottengo quello che voglio (la grazia), però la modalità di usufruizione ci contraddistingue

Appellandoci ad “altri” gli cediamo la nostra “santità”, rimanendo imbrigliati in un “terreno” energetico molto complesso e irto di conseguenze negative.
 
Appellandoci al nostro potere divino, al nostro sé superiore, le  implicazioni sono diametralmente opposte. La nostra energia rimane in noi e non viene asportata con una “cannuccia” eterica verso il “corpo” a maggiore "forza".

In caso di “risultati” non in linea con le nostre attese, in questa modalità dell’essere, dovremo solo incaricarci di “investigare” meglio tra le cause interne che non permettono la diretta manifestazione del nostro desiderio sul piano denso della realtà percepita. Stiamo parlando di cause “sensate” atte a spingerci sempre e solo sul sentiero evolutivo personale: 
  • karma
  • libero arbitrio
  • scelte animiche legate alla singola incarnazione.

Delegando ad “altri” il nostro potere accettiamo di farci condurre per “mano”, conferiamo la nostra fiducia, ci svuotiamo di infinite altre possibilità e, progressivamente, ci “addormentiamo”, proprio come rappresenta il funzionamento frattale di un occhio "sano" che si adatta lentamente a seguire l’altro occhio “malato”: l'occhio "sano" lavora per un po’ di tempo per due compensando, poi inevitabilmente si accascia su se stesso seguendo il “destino” abbracciato dall’altro occhio.

L’occhio “malato” è un occhio perfetto ma “malcompreso”; una singolarità in una orchestra coordinata dalle correnti spirituali evolutive nelle vesti della genetica organica. Come tanti strati della condensazione esistenziale che “lavorano” a diverse altezze nei vari reami della manifestazione esistenziale.
 
Il significato della malattia di un occhio, ad esempio, è sempre legato ad un “codice” facente parte di un linguaggio, di una lingua vibrazionale che non comprendiamo più

Esiste sempre un significato in ogni ambito del ritenuto “accaduto”. Questo significato rientra, dunque, nei termini del potere della legge d’attrazione; per cui noi attiriamo ciò a cui maggiormente siamo portati ad avvicinare attraverso la veicolazione del nostro campo “magnetico” vitale.

Il significato o la causa di un malanno all’occhio, sempre per esempio, è un fatto persino logico e comprensibile anche per una mente che non si ritiene la “dinamo” capace di innescare gli eventi. A meno che si ritenga la Natura del “tutto” completamente casuale, una sorta di roulette russa di combinazioni aleatorie senza nessun senso alcuno.

L’occhio che si ammala ci sta parlando in una lingua ormai “straniera”; ci dice cosa abbiamo fatto che ha portato a quella conseguenza. L’altro occhio che è collegato ad un altro centro di potere non colpito dalle cause che hanno coinvolto il primo occhio, è legato in stretta sinergia con il compagno e risente delle sue basse condizioni energetiche a cui viene inevitabilmente esposto. Nella prima fase avremo un senso responsabile di compensazione energetica, poi un lento adattarsi alle condizioni a cui il nostro "centro di potere" conferisce maggiore “peso”, ossia l’accettazione delle mente e dell’inconscio della “spiegazione” ufficialmente riconosciuta e del rimedio proposto: inforcare un bel paio di occhiali.

Gli occhiali segnano la “resa” anche dell’occhio normale, non colpito da una causa spirituale, non direttamente coinvolto ma indirettamente investito. Non “ascoltando” questo antico linguaggio, accettiamo di lasciarci andare sulla fiducia conferita ad una scienza del tutto transitoria sul piano dell’evoluzione incompleta dell’uomo.

Ciò che la scienza ci autorizza a credere, da questo punto prospettico estremamente lascivo, costituisce la prova più evidente del nostro smarrimento ed, allo stesso tempo, la più grande opportunità di risveglio a cui siamo mai stati sottoposti.

La prospettiva più adatta è quella di ritenere la Natura perfetta ma adattabile al nostro pensiero, il “quale” ha la capacità di modellarla a nostra immagine e somiglianza. Per cui se noi siamo addormentati, il nostro potere verrà veicolato ed utilizzato da un’altra energia. In questo modo possiamo comprendere come entrambi gli stati della dualità siano presenti, dando luogo ad una “trinità di possibilità quantiche”:
  1. perfezione
  2. imperfezione
  3. prospettiva presente modellata dalla loro interazione a causa del pensiero

Le “onde” della perfezione, come la Natura del nostro corpo umano o veicolo fisico, si miscelano con le “onde” dell’imperfezione, come la scienza in corso d’opera, dando luogo alla realtà manifesta ed autorizzata dal peso specifico della massa critica. Il paradigma che si manifesta, la Vita percepita, è il “terzo stato quantico” o Trinità direttamente “usufruibile”. La Trinità è un concetto, come ogni “cosa”, frattale, per cui la troviamo anche a diverse “altezze”, infatti quella che, forse, conosciamo di più, senza comprendere, è proprio quella “narrata” dalla religione.

La forma relativa è quella del triangolo che tanto si è prestato, ad esempio, per essere utilizzato come simbologia esoterica, massonica, ecc. Infatti, l’occhio che tutto vede, è proprio inscritto in un triangolo che, solitamente, è inerente alla divinità che “osserva circolarmente", ossia:

il principio divino umano che tramite la sua diretta contemplazione (campo d’azione magnetico del pensiero) interagisce, plasmando i due stadi della materia (perfezione e imperfezione) dando luogo alla manifestazione fisica “voluta” circoscritta nel triangolo di possibilità o stati quantici uniti nella fluidità consequenziale del cerchio che tutto "comprende".

In “soldoni” cosa significa? Che la “verità”, o stato perfetto, è sparsa per ogni dove. Ciò deve sensibilizzarci a non giudicare, in quanto anche ogni ambito della Vita manifesta è “sacro” perché contenente quella particella di “verità” che, almeno per un individuo, costituirà un principio guida predisposto per la sua evoluzione spirituale.

Impariamo a notare la sacralità della Vita in ogni sua minima “piega” e a rispettare ogni fratello o sorella sul cammino della comprensione di se stesso. Allo stesso tempo , non deleghiamo il nostro potere a nessuno, perché non ne abbiamo necessità. Possiamo unirci in gruppi ma senza vendere la nostra "autonomia", pena la nascita di un centro di potere aspirante la nostra energia come espresso da ogni associazione o organizzazione umana che richiede costantemente di noi per “funzionare” di cui l’esempio più eclatante è proprio l’Antisistema.

Tramite l’esercizio “io sono” ogni cosa giunge a noi attraverso un senso, una direzione, una volontà immaginativa

Senza l’esercizio “io sono” ogni cosa giunge a noi, dove per “noi” dobbiamo immaginare una potente calamita rotonda che rotola giù dalla montagna, attirando a sé tutto ciò che indistintamente "aggancia" lungo il proprio cammino non irregolare, ma dettato dalle leggi fisiche planetarie che, non sempre, corrisponde al percorso che si vorrebbe intraprendere di propria iniziativa.

Adesso il mio ragionevole dubbio è sciolto…

 

domenica 22 agosto 2010

Il terzo stato "quantico" dello Zen.




Il Jeet Kune Do vuole che si dimentichino tutte le tecniche; la situazione dev’essere governata unicamente dall’inconscio. La tecnica compirà i suoi prodigi del tutto automaticamente, spontaneamente. Fluttuare liberamente, non avere una tecnica significa possedere tutte le tecniche.

Per poter fluttuare a tuo agio, nel vuoto, senza incontrare ostacoli, dimentica le tecniche che hai appreso. L’apprendimento è importante, ma non diventarne schiavo. E, soprattutto, elimina tutto ciò che è esteriore e superfluo. La cosa prima è la mente. Qualunque tecnica, per buona e ambita che sia, diventa una “malattia” quando la mente ne viene ossessionata.

Le sei malattie:
  1. Desiderio di vittoria
  2. Desiderio di ricorrere alle astuzie tecniche
  3. Desiderio di fare sfoggio di tutto ciò che si è appreso
  4. Desiderio di intimorire l’avversario
  5. Desiderio di rappresentare il ruolo passivo
  6. Desiderio di liberarsi della malattia di cui si è affetti, qualunque essa sia

Il desiderio è un sentimento. Anche il desiderio di non desiderare è un sentimento. Non avere sentimenti significa quindi essere privi contemporaneamente di entrambi i tipi di sentimenti, di quelli negativi e di quelli positivi. Significa essere contemporaneamente “si” e “no”; cosa che sul piano logico è assurda, ma per lo Zen no.

Fonte: "Jeet kune do. Il libro segreto di Bruce Lee"  di Bruce Lee
 
 

sabato 21 agosto 2010

La "polvere" del Sole che non brucia.





Le umane “cose” sono spesso confuse come la verità sparsa ad arte nel “tutto”. Alcune “opere” riportano al loro interno grandi rivelazioni, ma quest’ultime sono frammentate, sbriciolate in maniera tale da renderle pressoché incomprensibili senza una chiave di lettura.

Se, a memoria, andiamo al nome che conduce al personaggio di Cyrano De Bergerac, cosa ci viene in mente,  o meglio, cosa ha agganciato, fissato in noi, l’Antisistema?

Un’opera letteraria molto poetica. Ma che altro? Beh, è ovvio che riguarda delle situazioni soggettive. La mia è una domanda troppo “umida”.

Ecco cosa riporta Wikipedia:

Savinien Cyrano de Bergerac (Parigi, 6 marzo 1619 – Sannois, 28 luglio 1655) è stato uno scrittore e drammaturgo francese del Seicento.
La sua figura ha ispirato la celebre opera teatrale Cyrano de Bergerac di Edmond Rostand del 1897. Grazie ai suoi romanzi fantastici è oggi considerato uno dei precursori della letteratura fantascientifica. In altro senso e specialmente per il suo linguaggio fortemente laicistico e poco rispettoso delle istituzioni religiose egli è considerato un intellettuale libertino. Il suo nome completo era Hercule Savinien de Cyrano de Bergerac (Cyrano era in realtà il cognome e non il nome), italianizzato da alcuni in passato come Ercole Savignano.
La sua è stata una figura dibattuta e assai controversa: è stato considerato alternativamente un martire del libero pensiero (Paul Lacroix), uno scienziato incompreso (Pierre Juppont), un libertino senz’arte né parte (Frédéric Lachèvre), un razionalista militante (Weber) e perfino un alchimista e un iniziato (Eugène Canseliet).

Ecco a cosa mi riferivo in precedenza; la memoria ci riporta a ciò che, una certa energia ha scritto nei nostri inconsci: 

La sua figura ha ispirato la celebre opera teatrale Cyrano de Bergerac di Edmond Rostand del 1897.

E penso che la maggior parte delle persone si fermi lì; anche in maniera alquanto sbuffante, perché è proprio così che ci è stato riportato, presentato. Lo si ricorda per il suo grande “nasone” e per la grande capacità di scrivere e declamare versi poetici, ma attraverso un suo "riflesso" ossia attraverso l'opera  posteriore di Rostand. Insomma un poeta d’altri tempi, un triste amatore mal compreso.

Signora mia,
non mi lamento solo del male che i vostri begli occhi hanno avuto la bontà di farmi; mi lamento ancor più della crudele sofferenza che provo a non vederli.
Avete lasciato nel mio cuore, quando me ne sono andato, un'idea arrogante che, col pretesto d'esser nata da voi, si vanta d'aver potere di vita o di morte su di me.

Che altro?

De Cyrano fu uno dei più estrosi scrittori del Seicento francese, una personalità veramente eclettica: fu romanziere, drammaturgo, autore satirico, epistolografo, prima di morire scrisse persino i primi capitoli di un trattato di fisica. Fu un libertino, quando ancora quel termine stava piuttosto ad indicare un'avanguardia culturale, una nuova filosofia di vita.

Che altro?

Le opere più importanti di Cyrano de Bergerac sono considerati i suoi romanzi fantastici, ritenuti precursori dell'odierna fantascienza: L'altro mondo o Gli stati e gli imperi della luna (L'autre monde ou Les ètats et empires de la lune, pubblicato postumo nel 1657), probabilmente il suo capolavoro, e Gli stati e imperi del sole (Les ètats et empires du soleil, pubblicato postumo nel 1662). Si tratta di racconti fantastici, estremamente vivaci. Il racconto, nella più tipica e schietta prosa barocchista, è quello di un viaggio meraviglioso, realistico e poetico, nei paesi della Luna e del Sole. È un pretesto per l'esposizione di ardite teorie filosofiche, scientifiche e religiose: il movimento della terra, l'eternità e l'infinità dei mondi, la costituzione atomica dei corpi, i principi fisici dell'aerostato ecc.
Le conoscenze di alchimista (abilmente celate nei suoi romanzi) furono assai stimate da importanti studiosi dell'Ermetismo quali Fulcanelli e Eugène Canseliet.

Nel particolare:

L'altro mondo o Gli stati e gli imperi della luna.
Rientrato in casa dopo una passeggiata al chiaro di luna in compagnia di amici, l'autore si mette intorno al corpo una cintura fatta di ampolle piene d'acqua di rugiada la quale, evaporando attratta dal sole, lo solleva sino a farlo arrivare nella Nouvelle France (il Canada); dopo questa prima esperienza di volo, utilizzando una sorta di razzo arriva fino alla Luna. Sulla Luna Cyrano rimarrà poco, poiché gli abitanti lo scambiano per uno struzzo e lo mettono in un'uccelliera, e molti gli sono avversi; ha però modo di conoscere quello strano paese e di ascoltare qualcuno (il Demone di Socrate) che glielo descrive e glielo spiega: sulla Luna un solo colpo di archibugio fa cadere un intero stormo di allodole bell'e arrostite; i versi delle poesie valgono come moneta per pagare gli osti; non c'è bisogno di orologi: tutti gli abitanti hanno una larga dentatura e un lungo naso, così quando vogliono sapere l'ora aprono la bocca ed espongono al sole il naso, il quale fa ombra sui denti come sul quadrante di una meridiana.
 
Ma ecco cosa si scrive nella prefazione a "Le Dimore Filosofali” di Fulcanelli:

Ne’ Gli stati e gli imperi della luna, “nel quale Cyrano Bergerac fa parlare il suo Demone protettore, che sta portando due globi di fuoco, mentre i presenti si meravigliano che essi non gli brucino le dita:
“Queste rocce incombustibili, egli dice, ci serviranno meglio dei vostri palloni di vetro. Sono due raggi di Sole, li ho purgati del loro calore, altrimenti le qualità corrosive del suo fuoco avrebbero ferito la vostra vista abbagliandola, poi ho fissato la luce e l’ho chiusa in questi globi trasparenti che tengo in mano. Ma non dovete essere così pieni di ammirazione, perché non è più difficile per me, che sono nato sul Sole, condensare i raggi di luce, che sono la polvere di questo Mondo, di quanto sia difficile per voi raccogliere la polvere o gli Atomi che non sono altro che la terra polverizzata di questo vostro mondo”.

Forse uno dei più grandi meriti del nostro Maestro Fulcanelli, è quello d’aver svelato, per primo, la vera personalità di Cyrano Bergerac, presentandolo, non senza delle prove concrete, probanti e decisive, come filosofo ermetico di grandissimo valore; tanto che non esitò a qualificarlo come il più grande dei tempi moderni.

… tra le altre cento cose che rivelano chiaramente la pura essenza alchemica di L’autre Monde, la macchina che rapisce il nostro eroe trasportandolo fino nel regno del Sole. Il pezzo principale della macchina, ed anche il mezzo di locomozione, è un vaso di cristallo, che ha la forma poliedrica di quel Quadrante solare, che si trova nel palazzo Holyrood d’Edimbourg; lo strano edificio scozzese che è l’argomento dell’ultimo capitolo delle Dimore filosofali:

Il vaso era stato costruito apposta con tanti spigoli, ed in forma d’icosaedro, affinché, essendo ciascuna faccia convessa e concava, la mia sfera potesse produrre l’effetto d’uno specchio ustorio”.

Questo passo si accorda perfettamente col testo di Fulcanelli, dimostrando che l’icosaedro simbolico è quel cristallo sconosciuto , chiamato vetriolo dei Filosofi, che è lo spirito o il fuoco incarnato, il quale, come abbiamo già visto, non brucia le mani. Si può giudicare da quello che dice Bergerac che riconosce, in questo elemento, una polvere quasi spirituale:

“… non ci si meravigli del fatto che io mi avvicinassi al Sole senza essermi bruciato, perché ciò che brucia non è il fuoco, ma la materia sulla quale il fuoco si avvince, e il fuoco del Sole non può essere mescolato con nessuna altra materia”.

Quanto ci appare diverso, Savinien de Cyrano, messo così in piena luce, dal personaggio inconsistente e fantastico, come lo ha impresso la letteratura, nell’immaginazione della maggioranza, modellandolo su di una falsa reputazione, nata unicamente dalle esagerazioni della giovinezza, che è contemporaneamente ardente e passeggera.

Fonte: prefazione di Eugène Canseliet a "Le Dimore Filosofali” di Fulcanelli