giovedì 17 dicembre 2009

Le alchimie del "Piccolo Chef".






- Non puoi cambiare la natura.
- Cambiare fa parte della natura, papà.
- Dove stai andando?
- Con un po' di fortuna, avanti

La visione di questo “fulminoso” film è sempre qualcosa di speciale, insomma “sa sorprendere”. Il parallelismo acrobatico dei significati con la vicenda evolutiva umana, spero non passi inosservato, perché queste animazioni eccezionali per “bambini” sono rivolte ai cuori dell’intera umanità. Dalla salita di Remy che lo porta dalle fogne alla consapevolezza del cielo di Parigi, al magnifico trionfo finale che unisce e “trasmuta” la grande famiglia dei “roditori”. Dentro c’è tutto “quello che serve”, proprio come nella saporita minestra preparata a quattro mani dai protagonisti della “storia”. Trova spazio persino il confronto tra generazioni e relativi paradigmi esistenziali, e la “spinta” del nuovo ad andare avanti, oltre le “apparenze”. L’arte e la sensibilità del “Piccolo Chef” rappresentano il potenziale insito nella creazione ad ogni livello ed il motto di Gusteau lo testimonia: “chiunque può cucinare”. Volevo scrivere queste quattro righe per celebrare un’opera molto coraggiosa e divertente che, non verrà presa troppo sul serio dalle persone, ma che racchiude una marea di intenti altamente nobili ed illuminati. Un sontuoso grazie a tutti coloro che hanno partecipato alla sua fantastica e commovente realizzazione. Chapeau!

"Per molti versi la professione del critico è facile: rischiamo molto poco pur approfittando del grande potere che abbiamo su coloro che sottopongono il proprio lavoro al nostro giudizio. Prosperiamo grazie alle recensioni negative che sono uno spasso da scrivere e da leggere. Ma la triste realtà a cui ci dobbiamo rassegnare è che nel grande disegno delle cose, anche l'opera più mediocre ha molta più anima del nostro giudizio che la definisce tale. Ma ci sono occasioni in cui un critico qualcosa rischia davvero. Ad esempio, nello scoprire e difendere il nuovo. Il mondo è spesso avverso ai nuovi talenti e alle nuove creazioni: al nuovo servono sostenitori! Ieri sera mi sono imbattuto in qualcosa di nuovo, un pasto straordinario di provenienza assolutamente imprevedibile. Affermare che sia la cucina, sia il suo artefice abbiano messo in crisi le mie convinzioni sull'alta cucina, è a dir poco riduttivo: hanno scosso le fondamenta stesse del mio essere! In passato non ho fatto mistero del mio sdegno per il famoso motto dello chef Gusteau "Chiunque può cucinare!", ma ora, soltanto ora, comprendo appieno ciò che egli intendesse dire: non tutti possono diventare dei grandi artisti, ma un grande artista può celarsi in chiunque. È difficile immaginare origini più umili di quelle del genio che ora guida il ristorante Gusteau's e che secondo l'opinione di chi scrive, è niente di meno che il miglior chef di tutta la Francia! Tornerò presto al ristorante Gusteau's, di cui non sarò mai sazio" (Anton Ego)


Scontro di volontà.







Il terreno di mezzo della presenza mentale, ovvero mantenere la mente tra il mi-piace e il non-mi-piace. Di Ajahn Vimalo, da discorsi tenuti a Settefrati il 22 e il 27 luglio 2007
“…Ho come perso un po’ il filo… ché avevo intenzione di parlare dell’irrequietezza e della preoccupazione e del dubbio, ma poi ho pensato che avrei parlato del mio approccio alla presenza mentale. Semplice, ma può essere difficile da mettere in parole. È qualcosa che io vedo come un’esperienza al di là delle parole…”.

Stavo iniziando a leggere questo pdf trovato in “rete”, quando mi è balenata la sensazione esatta di cosa sia una “immagine” e quasi di doverlo scrivere come autentico “dovere”. A dir la verità l’idea era già viva, oppure è nata durante la notte, nel sonno, e chissà in quale “regno” della coscienza multidimensionale. Mi sono svegliato questa mattina con una frase nella testa “La potenza delle immagini” e, mentre dormivo, era tutto talmente chiaro che, quella parte di me agganciata ancora al “controllo” di tipo inconscio, pensava – “Non ho bisogno di svegliarmi perché è tutto chiaro, non ho bisogno di prendere appunti perché me lo ricorderò ancora, una volta sveglio”. Ebbene quella “immagine” che recava in sé il significato olografico del “senso” di quella vera e propria trasmissione di “sapere”, una volta sveglio, è letteralmente svanita. La sua essenza più profonda o, a tuttotondo, è scomparsa lasciando dietro di sé unicamente una scia di emozionalità. Il vago sentire, come un umore legato addirittura al palato, di quello che era stata. Da questa “avventura” senza nome, ho tratto il desiderio di “attorcigliarmi” attorno alla dimensione ed al senso intimo che descrive la visione di una “immagine”.

"Un'immagine è una metodica di rappresentazione secondo coordinate spaziali indipendenti di un oggetto o di una scena. Contiene informazioni descrittive riferite all'oggetto, alla scena che rappresenta: un'immagine è quindi una distribuzione (che può essere bi o tri-dimensionale) di un'entità fisica. Il linguaggio delle immagini è intrinsecamente indeterminato, evocativo, dotato di segni che assumono valore simbolico in relazione al significato che attribuiamo a ciò che osserviamo o al valore pragmatico degli scopi della comunicazione.
La computabilità delle immagini invece risulta ben definita e formalizzata:

  • Analisi di immagini 
  • Sintesi di immagini
Nell'analisi è necessario avere dispositivi in grado di creare una rappresentazione numerica della distribuzione di luminosità di una scena. Nella sintesi, invece, è necessario disporre di rappresentazioni geometrico-matematiche di forme così da ricavare delle distribuzioni di luminosità che appaiano sullo schermo di un computer. Le immagini sono generate dalla combinazione di una sorgente di energia e dalla riflessione dell'energia emessa dalla sorgente da parte di oggetti di una scena. Occorre un “sensore” sensibile all'energia prodotta dalla sorgente che raccolga l'energia “irradiata” dalla scena. C'è da tenere presente, inoltre, che punti diversi sulle superfici degli oggetti avranno nell'immagine valori diversi di intensità in funzione della quantità di energia radiante incidente sulla superficie, del modo in cui esse riflettono, del modo in cui l'energia riflessa è raccolta dal sensore, del modo in cui il sensore risponde all'energia con cui è colpito”.
Fonte: Wikipedia

Chiediamoci quale sia la “sorgente”, gli “oggetti della scena” ed il “sensore” quando siamo immersi nello stato del sonno.  Ecco la mia interpretazione:

  • sorgente = energia a livello dell’anima
  • oggetti della scena = il contesto creato dalle nostre “domande”
  • sensore = la nostra attenzione consapevole a livello dell’inconscio (non è un paradosso a questo livello, perché interfacciamo solo termini relativi al linguaggio della veglia in un mondo dove il linguaggio stesso perde le proprie connotazioni relative al significato della comunicazione; dove in pratica non descrive nulla al di fuori della propria funzione di “interfaccia” tra uomo e uomo)
Cosa manca affinché questa “radiazione” emessa dalla sorgente, riflessa dalla dimensione più densa e colta dal sensore della psiche, venga memorizzata e riportata oltre il velo del “sonno”? Manca l’espressione della volontà di volerlo fare, di volere ricordare. Il substrato sensibile alla memorizzazione di quanto appreso dalla sorgente è autorizzato all’attivazione se riceve l’ordine polarizzante della nostra volontà e ciò presuppone l’esistenza di una struttura superiore che motivi a spingere in questo senso. Come a dire che la sorgente che viene sensibilizzata alla trasmissione dell’onda di informazione, rispondendo ad un preciso input o richiesta che viene dal “basso” è, allo stesso tempo, la responsabile che “ricorda e spinge il basso a chiedere” tramite il “senso della Vita”. Un cerchio che tende a chiudersi, che intende ritrovarsi, che chiede di comprendere, memore del sentore di chi si è nella propria e vera essenza, la quale, spinge e spinge e spinge e spinge sempre. Quello che "ci capita" è impregnato di questa “spinta” evolutiva. Come il moto rotatorio di un globo planetario nel “vuoto” dello spazio. Una spinta originaria che tutto muove e che tutto “marchia”. Come la traiettoria elicoidale di una foglia che cade dall’albero, descritta preventivamente dall’analisi della forma, rappresentata dalla densità e modalità di affinità dei componenti strutturali della foglia stessa.
Manca dunque la vera volontà di ricordare e riportare le informazioni da questa parte del “velo”. L’area preposta allo stoccaggio dei “dati” esiste eccome, non è questo il problema. È sufficiente analizzare la modalità con la quale internet offre spazio gratuito ad una mole impressionante di informazioni giornaliere. Dove si collocano in realtà tutti questi dati? Nelle macchine preposte al loro stoccaggio. E dato che l’uomo è un frattale del Creatore, l’uomo ha creato il frattale stesso della creazione e, in questo, ha trovato il modo di simulare i registri Akasici, nei quali è impresso ogni istante di ogni nostra vita. Il problema non sono i mezzi, ma la volontà di utilizzarli, perché il nostro focus di consapevolezza determina la stesura del programma di Vita…

“La teoria della computabilità effettiva si occupa della esistenza o meno di algoritmi risolutivi di problemi. Fra i suoi fondatori vi è Alan Turing. Una funzione si dice computabile se esiste un algoritmo che la calcola. Esistono molte formulazioni di ciò che è un algoritmo. La nozione di computabilità traduce rigorosamente, tramite la nozione di funzione e la nozione di algoritmo, la possibilità di svolgere un certo tipo di compito ovvero risolvere un certo tipo di problema applicando un procedimento meccanico pre-stabilito. È molto importante sapere se un dato lavoro può essere svolto da una macchina, ovvero da una persona non in grado di prendere decisioni autonome, oppure è richiesta la presenza di una persona chiamata a decidere caso per caso, o almeno nei casi più difficili, correndo anche il rischio di sbagliare. Molti problemi possono essere risolti dalle macchine, ma ne sono noti alcuni non risolubili da nessuna macchina”.
Fonte: Wikipedia

Volontà come algoritmo che risolve la funzione del ricordo. Volontà di estendersi oltre le armoniche della confusione e dell’illusione alla quale è sottoposto l’uomo-macchina:
“È molto importante sapere se un dato lavoro può essere svolto da una macchina, ovvero da una persona non in grado di prendere decisioni autonome, oppure è richiesta la presenza di una persona chiamata a decidere caso per caso, o almeno nei casi più difficili, correndo anche il rischio di sbagliare”
L’anima, correndo il rischio anche di sbagliare (libero arbitrio), assiste la sua estensione più densa che è impegnata nell’arduo compito esperienziale, molto “lontana” in termini di frequenza e difficilmente contattabile a causa delle “tempeste” vibrazionali dovute alla bassa densità dell’energia. Cosa ci porta all’evidenza, per analogia, questa “immagine” appena descritta?
Una missione dell’uomo nello spazio con lo scopo di atterrare su un altro pianeta per conoscerlo. Dalla base spaziale a terra, l’uomo controlla l’uomo tramite sistemi inventati dall’uomo, i quali hanno in questo momento un ruolo di importanza fondamentale per il buon esito della missione. Ma dietro alla missione cosa spinge la missione stessa? Ancora l’uomo che è mosso dalla volontà di esplorare il cosmo. Perché? Perché l’uomo è un frattale del Creatore…

Quante informazioni racchiude in sé la visione di una immagine? Guardiamo la Terra dallo spazio e pensiamo a quanti “livelli” contiene una simile scena. Penso di avere reso l’idea, no?

“Ho citato un altro esempio usato da Ajahn Chah: l’immagine di un’unica sedia in una stanza. Immagina di essere seduto su quest’unica sedia in una stanza, con vari ospiti che vengono nella stanza e cercano di farti spostare. Arriva una splendida donna, se sei un uomo, o un bell’uomo, se sei una donna, e cercano di farti spostare dalla tua sedia. Tentano di sedurti allo scopo di farti cedere la sedia – “Dai, alzati da quella sedia” – ti dicono. Tu li vedi arrivare ma resti sulla sedia. Loro possono trattenersi per un po’, danzando davanti a te, ma tu resti fermo al tuo posto. Dopo un po’ di tempo, tanto o poco che sia, gli avventori si rendono conto che non hai intenzione di mollare la sedia, e allora sono loro ad andarsene. Dei mostri potrebbero poi venire a tentare di terrorizzarti per farti cadere dalla sedia, ma uno prende la risoluzione di non muoversi fino a quando anche loro non abbiano desistito dal loro intento e se ne siano andati. Semplicemente conoscerli, ossia essere testimone del loro giungere e andar via. Basta questo. Nel corso del tempo, sarà sempre meno quello che ti verrà a disturbare. Non vuol dire che loro smetteranno di venire. È che non riescono a farci spostare. Si potrebbe dire che diventano irrilevanti. Quando mi guardate, o io vi guardo, in questo c’è un conoscere. Questo conoscere è già presente in noi, ma quello che succede è che si presentano le sensazioni e i pensieri con cui ci identifichiamo, e sono loro a scalzare noi anziché noi a conoscere loro con il semplice stare fermi su quella sedia, lasciando che se ne vadano pacificamente”.
Fonte: Il terreno di mezzo della presenza mentale, ovvero mantenere la mente tra il mi-piace e il non-mi-piace. Di Ajahn Vimalo, da discorsi tenuti a Settefrati il 22 e il 27 luglio 2007


mercoledì 16 dicembre 2009

Come sensibili separati in casa.







L’uomo è sensibile, vivendo di quello che i “sensi” trasmettono al cervello, dove per sensibilità possiamo intendere le varie manifestazioni del pensiero trascritte in forma di linguaggio:

"La sensibilità, di norma, è la facoltà di percepire attraverso sensori (nel caso di esseri viventi, gli organi di senso) stimoli provenienti da fonti esterne. Il termine assume tuttavia diversi significati a seconda dell'ambito:

  • In fisica, sensibilità si riferisce al rapporto tra la variazione del valore misurato R e la variazione del valore reale E;
  • In medicina, la sensibilità è la probabilità di un test diagnostico di indicare un risultato positivo (anomalo) nei soggetti colpiti dalla malattia («veri positivi»)
  • In filosofia la sensibilità è l'intensità e l'acutezza con cui un soggetto intuisce col pensiero qualcosa di esterno a lui.
  • In psicologia, sensibilità si riferisce alla disposizione di condividere un'emozione provata da soggetti altri da sé.
  • In fotografia la parola sensibilità indica la maggiore o minore capacità di una pellicola di essere impressionata dalla luce".
Fonte: Wikipedia

Tramite questo sventagliamento di significati dello stesso termine, possiamo comprendere quanto abbia ragione Gurdjieff quando parla del linguaggio:

Come regola generale, quando le persone si rendono conto che non comprendono una cosa, cercano di trovarle un nome, quando hanno trovato un nome, dicono che “comprendono”; ma “trovare un nome” non significa comprendere. Una delle ragioni della divergenza nello nostra vita fra la linea del sapere e la linea dell’essere, in altri termini, la mancanza di comprensione che è in parte causa e in parte effetto di questa divergenza, si trova nel linguaggio parlato dalla gente. Questo linguaggio è pieno di concetti falsi, di classificazioni false, di associazioni false. Soprattutto le caratteristiche essenziali del pensare ordinario, la sua vacuità e la sua imprecisione fanno si che ogni parola può avere migliaia di signfiicati differenti, secondo il bagaglio di cui dispone colui che parla, e l’insieme di associazioni in gioco al momento stesso. Le persone non si accorgono quanto il loro linguaggio sia soggettivo e quanto le cose che dicono siano diverse, benché impieghino tutte le stesse parole.
Fonte: “Frammenti di un insegnamento sconosciuto” di P.D.Ouspensky

Ancora una volta è qua possibile comprendere il nostro stato di separazione, non solo personale, tra sé e sé, ma addirittura da ogni altra persona. E trascinandosi per tutta una intera esistenza, dalla culla al capezzale, l’uomo tenta di comprendere l’essenza delle “cose” utilizzando degli strumenti, i sensi, che non sono “progettati” con lo scopo preciso di dare la “comprensione” ma, soprattutto, per permettere la sopravvivenza, ossia di comprendere l’arte del vivere fisicamente immersi in una natura ritenuta ostile. È questa la modalità con la quale l’uomo moderno pensa ancora di vivere; seguendo la legge della giungla. Dilatando le narici quando sente nell’aria un possibile pericolo, quando il suo “territorio” rischia di essere calpestato da un altro uomo. Seguendo in questa maniera l’istinto primordiale di quando non aveva da mangiare e soffriva il freddo ed ogni altra privazione corporea, quando aveva paura del fulmine che cadendo accendeva il fuoco sulla terra, quando doveva difendersi da tutto e da tutti. Quando gli uomini di “Spirito” ci dicono che l’uomo dorme quando crede invece di essere desto, intendono proprio di lasciare una modalità nella quale dominano i sensi illusori della vita. L’uomo si illude di vivere perché ha scelto questa via…

Svelato il segreto dell’illusionismo
"Una formula magica e un colpo di bacchetta, e gli oggetti spariscono per magia. Ma il merito di uno dei trucchi piu’ famosi degli illusionisti in realta’ è negli occhi di chi guarda. O, meglio, nella rapidita’ di adattarli a un nuovo obiettivo. A spiegarlo non sono dei prestigiatori, ma un gruppo di scienziati britannici. Quando i nostri occhi si spostano per pochi millisecondi, passando da un oggetto all’altro, e’ come se per un breve lasso di tempo perdessimo la vista. Una ‘cecita’ lampo’, che dura pochissimo ma ci impedisce di vedere che cosa accade davvero davanti al nostro sguardo. Insomma, la mano e’ piu’ veloce, come sostengono gli illusionisti. A rivelare il ’segreto della bacchetta magica’ sono stati i ricercatori dell’Edinburgh University (GB), secondo i quali queste micro-cecita’ sono troppo brevi perche’ ce ne rendiamo conto, ma abbastanza lunghe per non farci rendere conto dei cambiamenti che avvengono davanti a noi. Come a dire, la bacchetta tocca il cappello e il coniglio scompare per magia. “Pensiamo che i nostri occhi ci mostrino il mondo nei dettagli tutto il tempo, ma in effetti non e’ cosi’ – spiega John Henderson della School of Philophy, Psychology and Language Sciences illustrando lo studio sulla Bbc online – I nostri studi mostrano che gli occhi in effetti” si perdono qualcosa. Insomma, mentono".
Fonte: www.bnotizie.com/2009/09/29/svelato-il-segreto-dellillusionismo/

Quando la scienza sarà più libera di "esprimersi" e diffonderà il vero stato della ricerca, che per intenderci è anni luce più avanti di quello che è condiviso con la massa, i tempi subiranno una evoluzione quantica accelerando il processo vorticante attorno al proprio centro immobile che corrisponde alla Luce del Creatore (avete presente il centro di una galassia, ma quanta luce c’è?). Il “centro” è il luogo che ci attende con speranza. È sufficiente notare i suoi frattali minori come, ad esempio, il movimento di un gorgo nell’acqua o di un tornado oppure di una formazione temporalesca vista dal satellite. Il movimento impresso da questi fenomeni è attrattivo verso il centro, verso il ricongiungimento, verso l’Uno. Sto scoprendo grazie a quello che scrive William Buhlman nel suo meraviglioso libro “Avventure fuori dal corpo” che effettuare un cosiddetto “viaggio astrale” non significa scappare da questo mondo, ma tutt’altro, ossia entrare dentro di sé ancora più in profondità, andare cioè verso il proprio “centro”. Non a caso l’Antisistema ha piazzato, simbolicamente, al centro della Terra l’inferno, ossia ha tentato di sbarrare il cammino dell’uomo verso la propria comprensione allontanandolo attraverso il meccanismo ancestrale della paura. Mi ricordo di un romanzo (nella categoria “fantascienza”!) di Fritz Leiber che se non erro dovrebbe essere “L’alba delle tenebre” nel quale egli racconta in maniera magistrale come tutto sia ribaltato rispetto a quello che ci si illude di “vedere”, tramite la stesura di un curioso finale a sorpresa; ecco un passo che ancora una volta descrive proprio l’Antisistema:

“Quel lungo percorso attraverso la Camera del Concilio, sotto gli sguardi critici dei suoi confratelli, rappresentava per Goniface qualcosa che nessun altro arciprete sembrava in grado di capire, qualcosa che non avrebbe permesso a niente e a nessuno di portargli via: la possibilità di assaporare, al suo livello di massima pienezza e tensione, il potere e la gloria della Gerarchia, il governo più stabile che il mondo avesse mai conosciuto. L'unica forma di potere che valesse la pena di conquistare e mantenere. Costruito su un cumulo di menzogne, (come del resto tutti i governi, pensò Goniface) eppure perfettamente in grado di risolvere gli intricati problemi della società umana. E concepito in modo tale per cui più un membro della casta sacerdotale lottava per accrescere il proprio personale potere, più si identificava con le finalità e promuoveva il benessere della casta stessa”.

Per tornare al discorso relativo al linguaggio, utilizzato da una forma pensiero imperante come sostituto della “frusta fisica”, viene in mente il “mito” della Torre di Babele, completamene stravolto dal comune pensiero moderno, che altro non fa che “denunciare” la confusione generata tra gli uomini e relativa alla nascita delle diverse lingue nel mondo. Andando ancora più in profondità nell’essenza di questa “fotografia” del tempo originale, troviamo ancora una volta lo stato di separazione tra gli uomini santificata nello sviluppo di una modalità di comunicazione incomprensibile sia per gli uni che per gli altri, ed ancora maggiormente evidenziante lo stato di smarrimento dell’individuo entro se stesso.  A rimarcare ancora di più questo frattale è sufficiente osservare una cartina politica planetaria, ossia una cartina nella quale sono evidenziati gli Stati ed i loro relativi confini. Mettiamoci a notare le linee di demarcazione tracciate sulla carta. Quelle linee immaginarie, virtuali hanno determinato il passo della Storia della civiltà umana, andando a dividere fisicamente le terre e gli uomini. In una cartina degli USA è notevole l’utilizzo di linee rette, dritte, sovrannaturali quasi a ricordare degli schemi radionici sicuramente non casuali visto che sono state decise da una mente umana o da una energia liberata dall’uomo. L’opera di divisione, smembramento, allontanamento, confusione è ancora all’opera e manifestata nel moto espansivo dell’Universo e dei continenti, tuttavia ora sappiamo che la lettura superiore da farsi è di concepire questo “movimento” come l’atto del respiro di un organismo enorme come può essere quello del Creatore e pertanto in linea con il normale processo a due tempi della “respirazione”; processo molto lungo e dilatato per l’ottica limitata dell’uomo attuale… insomma tutto ha un senso… persino lo sprofondare…

Torniamo per favore a leggere la definizione di “sensibilità” in fotografia e sostituiamo a “pellicola” “uomo” e intendiamo il termine “luce” nel suo più ampio significato… meraviglioso!


Al di sopra degli stagni,
al di sopra delle valli,
delle montagne,
dei boschi,
delle nubi,
dei mari,
oltre il sole e l'etere,
al di là dei confini delle sfere stellate,
spirito mio tu ti muovi con destrezza e,
come un bravo nuotatore che si crogiola sulle onde,
spartisci gaiamente, con maschio,
indicibile piacere,
le profonde immensità.
Fuggi lontano da questi miasmi pestiferi,
va' a purificarti nell'aria superiore,
bevi come un liquido puro e divino il fuoco chiaro che riempie gli spazi limpidi.
Felice chi,
lasciatisi alle spalle gli affanni e i dolori che pesano con il loro carico sulla nebbiosa esistenza,
può con ala vigorosa slanciarsi verso i campi luminosi e sereni;
colui i cui pensieri,
come allodole,
saettano liberamente verso il cielo del mattino;
colui che vola sulla vita e comprende agevolmente il linguaggio dei fiori e delle cose mute.
Charles Baudelaire - Spleen e ideale- Elevazione