C’è come una in-certa “tristezza”, nel momento in cui t’imbatti nel pensiero “massimo” altrui, celebrato storicamente “qua, così”;
quando, insomma, non ti limiti a non essere d’accordo... ma, di più, riesci ad abbracciarne il relativo significato a livello di simbolismo sostanziale frattale espanso, riportando la prospettiva alla sfericità, cambiando di “dimensione”… ed ammettendo ogni logica sottintesa all'apparente “diversità”, all'assoluta compresenza immanifesta della ragione fondamentale per la “forma” (che non è Dio, né il suo capovolgimento di valore/senso).
“Non si butta via nulla (di quel che succede ed esiste)”.
Non v’è alcun senso di “inutilità”, infatti, quando ce la fai a decodificare tutto “quel che succede ed esiste”.
Una “via” che comporta, necessariamente, la disillusione della dualità, srotolando ogni s-oggetto proprio come se fosse un’unica appartenenza (conseguenza) del “piano inclinato ‘qua così’”.
Gli esempi si sprecano e, anche tu, dovresti ormai esserne più che intris3 di significato, portanza e centralità.
“Nel quarto libro, a sostegno dell'affermazione che ‘la sofferenza può sostituire il battesimo’… ho addotto il noto episodio del ladrone. Trattasi però di esempio poco adatto in quanto non si sa se il ladrone non avesse effettivamente ricevuto il battesimo…”.
Le Ritrattazioni - Sant'Agostino
Quale “ritrattazione” se (se) sempre nel loop.
“Ci hai creati per Te, [Signore,] e inquieto è il nostro cuore fintantoché non trovi riposo in Te…”.
Agostino d'Ippona
“Non è vero che la felicità significhi una vita senza problemi… La vita felice viene dal superamento dei problemi, dal risolvere le difficoltà. Bisogna affrontare le sfide, fare del proprio meglio. Si raggiunge la felicità quando ci si rende conto di riuscire a controllare le sfide poste dal fato, ci si sente persi se aumentano le comodità…”.
Zygmunt Bauman
la vita felice viene dal superamento dei problemi, dal risolvere le difficoltà (certo; quando risolvi la difficoltà massima, però: quella dominante. Il che non si riduce alla banalità ordinaria, che delimita e riflette il "problema")
si raggiunge la felicità quando ci si rende conto di riuscire a controllare le sfide poste dal fato (idem come sopra. A quale livello prendi in considerazione la "cosa"; questo fa la differenza, nel perdersi tra i marosi, oppure, nell'ergersi sopra alle onde facendo surf).
Non c’è nemmeno l’ombra dell’originalità, in pensieri di questo tipo. Mentre c'è sempre "verità (a livello di memoria frattale espansa)". Un ottimo modo per evitare di perderti.
Una intera esperienza escogitata sotto all'ombra di un albero talmente grande, da non risultare più nemmeno esistente. Come il crederlo il cielo, la natura, l’ordinarietà.
Qualcosa che “fa a pugni” con il valore universale.
Qualcosa che hai dimenticato “qua, così”.
Qualcosa del quale, “ora”, ignori completamente il significato.
Come, ad esempio, il pensarti ne' La Contea (degli Hobbit)... senza un’avventura terribile da provare, alla soglia di casa.
Quale senso c’è nel “vivere per sempre felicemente”?
Non lo capisci. Sei portat3,”quasi”, a preferire l’avventura, quel “non so che” in grado di farti provare tutta l’emozione del poter persino decadere senza rete.
Trovi un senso, nella saga in questione, senza il pericolo rappresentato dalla “tenebra”? Andresti mai al cinema, se Lo Hobbit fosse solo il racconto della vita serena, pacifica e tranquilla di uno “stile di vita” tanto noioso?
No.
Eppure, quando le persone vanno in pensione o, più generalmente, invecchiano… tendono a “godersi, finalmente, gli ultimi anni che rimangono”.
In quale maniera?
Cercando di vivere proprio come nella Contea.
È, quindi, un problema di età e di energia, ormoni, esperienza?
Oppure, “ti riduci così”, sotto al peso di una società che è, a sua volta, schiacciata “naturalmente”?
Come al solito, non lo sai ma, non perché ti mancano le informazioni.
Di più, perché sei nel dubbio (e la mole d’informazione non fa la differenza). Ti manca l’alternativa sostanziale sostenibile. Non la scorgi più in qualcosa che delinea ogni scelta, all'orizzonte, in quanto parte sempre dello stesso “piano”.
Decidere è diventato, allora, conseguire… nonostante l’ampia portata della “diversità” disponibile.
Insomma, dove vai, vai, ma… nella sostanza sei sempre “qua, così”.
Perché?
Cosa significa.
Altro aspetto inerente alla trattazione del pensiero altrui:
tu non hai assolutamente idea
di ciò che la tal persona avesse in mente di descrivere
relativamente a ciò che sentiva in cuor proprio.
Sì. Date le infinite gradazioni di filtro ed interferenza (“attriti”), compresenti ad ogni livello di una simile decodifica, lavorazione ed emersione del “valore” che, da universale diventa, di conseguenza, locale (trattato, di parte, artificiale, etc.).
Sant’Agostino aveva diviso il male in tre tipi (metafisico, morale, fisico).
Dal punto di vista metafisico, Agostino si convinse di come il "male" (iniquitas) non esista, o, per meglio dire, non abbia consistenza.
Esiste solo il bene, o i beni; il male invece, o i mali, sono semplicemente "privazione", mancanza di bene.
In tal modo, svuotando il male di ogni valore ontologico, Agostino raggiunse l'obiettivo di confutare il dualismo manicheo.
Per dirla come farà Tommaso d'Aquino, non esiste la bruttezza in sé, questa è semplicemente mancanza, privazione di bellezza; parimenti non esiste l'errore in sé, perché questo è semplicemente assenza di verità.
A dimostrazione di ciò, Agostino proponeva un sillogismo:
1 tutto è stato creato da Dio;2 Dio è sommamente buono;3 dunque ogni realtà da Lui creata è buona, e non ne esistono di malvagie…
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Questo “pensiero” è, di più, una scatola nella quale c’è la “dima (frattale espansa)”:
la realtà manifestabile (potenziale) non è "democratica".
Ossia, è retaggio di una sola singolarità (parte).
Quindi, il sillogismo sopra riportato, è una equazione, nella quale Dio, da costante diventa variabile (quale “valore di chi” ci carichi dentro?).
Di conseguenza:
se Dio è la compresenza immanifesta dominante (“qua, così”)
allora
tutt3 è a sua “immagine e somiglianza (dipendenza)”.
E, persino, la “qualità” definita attraverso il termine “buono”, dipenderà da quella dominante, dal proprio “interesse”, etc.
Ossia, in questo modo la dualità viene dimostrata come una facciata d’apparenza (un collo di bottiglia artificiale).
Ma (ma) l’unica polarità esistente, di quale grado di “bontà” sarà dotata e, di conseguenza, “doterà il ‘a valle’ interamente”?
Ecco la forma piramidale, la gerarchia e, dunque, il controllo “naturale”, l’arte del mimetismo, la strategia, il valore di facciata, la dualità apparente e la ragione fondamentale della “forma”.
Ora, però, queste stesse realtà così create saranno "altro" da Lui.
Non possono partecipare appieno della Sua perfezione, del Suo sommo grado di bontà, della Sua immortalità.
Ogni bene cioè, sia materiale che spirituale, risulta come disposto su una "scala gerarchica", in cima alla quale sta Dio.
Quando l'uomo sceglie i beni inferiori, egli sceglie pur sempre dei beni, ma questi rappresentano, di fronte al sommo Bene, una privazione.
In ciò consiste la possibilità metafisica del male:
esso è dovuto a una rinuncia al sommo Bene, in favore di una scelta rivolta a beni inferiori.
Lo stesso peccato originale non consiste nell'aver mangiato il frutto dell'albero del bene e del male che, creato da Dio, è anch'esso buono, bensì nell'aver rinunciato al sommo Bene, a Dio, nel momento in cui Adamo ha voluto sostituirsi a Lui.
La concezione agostiniana del male metafisico come assenza di perfezione porta a identificare il Bene con l'essere di platonica memoria; e si ricollega in particolare alla dottrina di Plotino, dove la sola e autentica realtà era l'Uno, che giungeva poi a disperdersi fino agli strati più bassi della materia, come una luce che si allontana man mano dalla sorgente.
Come non esiste una fonte dell'oscurità, così il male è un semplice non-essere.
In tal modo Agostino trova soluzione al problema che lo angustiava quando all'interno delle posizioni manichee non riusciva a spiegarsi perché mai i due principi, il Bene ed il Male, dovessero raggiungere l'uno la vittoria e l'altro la sconfitta.
Se infatti ambedue avessero avuto la stessa potenza, la lotta avrebbe dovuto essere incerta, mentre secondo il manicheismo la vittoria del Bene si sarebbe realizzata comunque.
Grazie ai suoi studi neoplatonici, Agostino risolse il problema dei due Principi contrapposti alla radice, convincendosi che esisteva un solo Principio da cui tutto discendeva…
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Aver rinunciato al sommo Bene... :
Sant'Agostino era come “cieco” di fronte alla possibilità dominante, laddove il “Bene” è… il (proprio) Bene.
La particella “proprio” è ciò che sfugge nel significato sostanziale. Qualcosa che, ad esempio, il plurale maiestatis (Noi, in luogo di, Io), nel tempo, ha permesso l’auto disinnesco di qualsiasi fonte d’informazione altra.
Quando “Noi (il popolo)” corrisponde a “Noi (il vertice dominante)”, allora:
significa che l’incanto è completo
e che, dunque, “è già successo”…
Un po’ come insegna il leggendario “Armiamoci e partite…”.
Il male morale.
Il male metafisico si trasforma, secondo Agostino, in un male morale a causa di un errore della volontà umana:
questa sceglie d'indirizzare l'uomo verso qualcosa, un bene particolare scambiato per il Bene sommo che è solo Dio.
In realtà ogni essere è buono, perché creato da Dio.
Non può esserci un principio del Male contrapposto a quello del Bene e in lotta con esso, perché nessun principio assoluto, in quanto tale, tollera per così dire la compresenza di un altro principio egualmente assoluto, altrimenti non sarebbe appunto assoluto e totale, bensì relativo.
Allo stesso modo è da escludere che il Male trovi la sua ragion d'essere in Dio…
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La “volontà umana” è soggiogata da quella dominante (della quale esistenza, non ricorda nulla).
Non è libera e non esiste nemmeno il “libero arbitrio”, se non... in ogni forma "creduta" libera.
Anche in questa “visione delle cose”, c’è sempre la potenzialità di accorgerti del loop AntiSistemico “qua, così”.
È una questione di decodifica (“traduzione”) del significato, mediante la trasposizione “relativo, assoluto”.
Ossia, verso quel livello sempre e solo occupato da Dio (e/o il suo alter ego), che risulta come un padrone di casa con il quale non puoi assolutamente parlare, dato che non intende sentire altra ragione.
Così, il vuoto risulta sempre pieno, ma… di una pienezza parziale, che utilizza in leva una simile situazione “esatta”, di modo che sia la propria strategia (interesse) a rimanere sempre pienamente “in voga”, ossia, delegata (e, quindi, non risultante dipendente dalla compresenza immanifesta della dominante. Bingo).
“Ci godiamo questo ciclo vincente, guardiamo avanti con ottimismo e serenità. La Juventus, grazie alla lungimiranza di Andrea Agnelli, è riuscita a individuare due caratteristiche:
la competenza e la delega.
Noi abbiamo un modello vincente, in cui tutti hanno la loro autonomia e le loro competenze. Io credo che al di là dell’aspetto economico, certamente rilevante, sia questa una delle componenti vincenti…”.
Giuseppe Marotta
Nota bene:
ciclo vincente (sotto-dominante)
competenza e delega (strategia)
tutti hanno la loro autonomia e le loro competenze (libero arbitrio e ragion d’essere, sempre e solo, all’interno dell’organizzazione Juventus).
Qualcosa che riflette, sopra a tutto, il “ciclo vincente” dominante, ad un livello ben altro rispetto a ciò che succede “solo” in ambito calcistico.
Quando riuscirai a superare la convinzione legata alla territorialità (“divide et impera”), ti accorgerai che nella sostanza “la lingua utilizzata è sempre e solo una”:
quella del simbolismo sostanziale frattale espanso.
E che Babele indica molto di più, rispetto alla versione biblica.
Il male fisico.
Agostino non negava la sofferenza e neppure il peccato, nel senso cristiano.
Il male fisico, da un lato, è conseguenza del male morale, poiché scaturisce dalla stessa origine metafisica, ontologica, ossia da un non-essere.
Dall'altro, tuttavia, esso ha per Agostino anche un significato positivo, tramutandosi alle volte in uno strumento capace di condurre alla fede per vie imperscrutabili.
In tal modo Agostino supera una convinzione diffusa nel periodo precedente, che concepiva la malattia e il dolore esclusivamente come una sorta di punizione divina delle azioni umane…
Link
“Traduzione”:
il male fisico, da un lato, è conseguenza del male morale, poiché scaturisce dalla stessa origine metafisica, ontologica, ossia da un non-essere (la compresenza immanifesta dominante, a grande concentrazione di massa giurisdizionale planetaria “qua, così”)
dall'altro, tuttavia, esso ha per Agostino anche un significato positivo, tramutandosi alle volte in uno strumento capace di condurre alla fede per vie imperscrutabili (la “fede” è l’accorgersi di detta “appartenenza”, di fatto. Al fine di prenderne le distanze, ossia, esorcizzando e ricordando il “è già successo” ed il chi già sei).
Tutto questo (spazio-potenziale) servirà per espandere la prospettiva, dalla dimensione superiore della globalità (valore universale, “formula”), mutando di panorama, scenario, realtà manifesta ad hoc.
“Parliamo di aste pilotate dei Buoni del Tesoro. Quale giuria resterà sveglia mentre cerchiamo anche solo di spiegare che cazzo significa?...”.
Billions
La condizione di “felicità” non è quello che hanno descritto e che, dunque, ritrovi già sviluppat3 in termini di “scelta (aderenza)”.
Come per il valore dell’amore, anche della felicità non ricordi più niente. Ed, allo stesso modo, non ricorda nessun3 “qua, così”.
Tutto è come un “surrogato” di…
Un rimpiazzo. Un ripiego e non certo una compensazione (se non ad un livello talmente “diluito omeopaticamente”, da risultare all'apparenza solo impoverito, mente il valore universale è comunque ovunque, ma codificato ambientalmente e, dunque, sempre recuperabile potenzialmente).
Quando pensi alla “felicità”, ti sembra una condizione che “non può durare”.
Perché?
Perché ti limiti a pensarti in una certa maniera.
Una “forma” che difficilmente puoi assumere e che, quindi, ti auto delimita all'inverso.
Anche quando ti distacchi dall'agio monetario, comunque, ti ritrovi a che fare con la condizione terminale della morte, che porta via e ti porta via (prima o poi).
Anche il solo retro pensiero della morte, ti conduce verso una qualità della vita di ordine secondari3.
E questi due “fatti (delle mancanze)”, minano ogni ambito dal valore universale, al quale puoi appellarti. La “disperazione” che ne traspare diventa, poi, frustrazione che si riflette al massimo livello “qua, così”:
dove anche la ricchezza smisurata finanziaria
da sola
non riesce a risolvere il problema della morte
e, quindi
della fine temporale della propria esistenza.
Motivo per il quale, dai “piani alti” giunge un interesse sconfinato a/per “sfruttare la situazione finché c’è tempo”, dato che l’impressione è sempre quella di “caducità”.
La morte è solo un problema tecnico (e lo risolveremo):
Google ha lanciato la sfida per l'immortalità.
La svolta dei nuovi guru, secondo cui la questione non è metafisica ma scientifica…
Link
Che cosa significa.
A livello di simbolismo sostanziale frattale espanso:
tu muori per una questione “tecnica”
ossia
per interesse dominante (muore anche ogni livello sottodominante).
Certo che è “scientifica” la questione.
Laddove la metafisica corrisponde a ciò che la scienza non prende più in questione, per un non evidente interesse “a monte” AntiSistemico, dominante.
Le singolarità, l’umanità, costituiscono una “Rete” come, ad esempio, Internet riflette a pieno:
un foglio elettronico unico
astratto a livello di “Rete”
una dimensione piana, resa complessa…
Il fatto che “devi morire”, corrisponde alla ciclicità “che nulla toglie alla forma d’assieme”.
Ciò che si (auto) ripete è, dunque, “immortale” ma (ma) solo se non perdi l’orientamento.
Infatti, il “dizionario” è interamente da riscrivere, decodificando formularmente (per valore universale, punto di sospensione umano e senso sostanziale).
“Fai…”.
Davide Nebuloni
SacroProfanoSacro (SPS) 2017
Bollettino numero 2070
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"Fai..." un po' Te.