“Strangers”, di Kenya Grace, è un assolo d’usignolo. Ma, in un mondo al contrario, è sempre meglio non vedere né immagini, né video, di codesta, visto il movimento “arcobaleno-dissoluto” in corso d’opera. Meglio non rischiare. Meglio non alimentare. Però, la voce è davvero di… Sirena. Ammalia, insomma. Facendo la traduzione, ecco il pensiero circolare auto ricorrente:
finisce sempre così
quando si tratta di me e te
ma ogni volta che incontro qualcuno di nuovo
è come se avessi un déjà-vu
lo giuro sembrano tutti uguali
è come se mi conoscessero
ogni parola che dicono suona come se la dicesse lui
e funziona così
entreremo nella tua macchina, e tu ti chinerai a baciarmi
parleremo per ore, e ci sdraieremo sui sedili posteriori
e poi una notte casuale, quando tutto cambia
tu non mi risponderai, e ritorneremo ad essere sconosciuti…
Ora, a prescindere dalla fedeltà della traduzione e della valenza della “poesia”, se mai ci fosse poesia o licenza poetica, emerge il consueto, de che.
E l’ennesima “bambola”.
La voce porta via, rapisce, cattura, suadente. Sin dalla prima “battuta”. Persino alla radio, non in cuffia. Conviene chiedersi il significato del testo? Oppure, è la sostanzialità che lo permea, nonostante il testo dell’autore. Come “portatore sano”. Ospite. Vettore. Polvere… Il testo è costruito in un certo modo, per qualche motivo? Oppure, è la musica (compresa la voce) a fungere da perno. Sì, se mi ci metto... da ogni testo “ne esce fuori qualcosa”. Però, questa è una industria che di suo ci mette “solo” tutto quello che le serve per… meglio funzionare: funziona così… (lo dice anche nel testo, il testo).
Quanti livelli di “lettura” ci sono?
Tantissimi, eppure… sono “solo” due:
lineare e non lineare.
Se poi ci aggiungi la relatività: le “famiglie”; ecco allora la base allargata che ti ha ogni volta, finendo per auto perdercisi dentro così, tanto per…, o non so perché.