Ho un ragionevole dubbio:
- ciò che vogliamo sapere giunge a noi molto più regolarmente con la maggiore pratica dell’esercizio “io sono”
- ciò che vogliamo sapere giunge a noi regolarmente anche senza pratica dell’esercizio “io sono”
Cioè? Mi sembra chiaro che ciò che "vogliamo sapere" giunge sempre a noi, ma cosa è l’esercizio “io sono”?
Questo “esercizio” è il lavoro che si compie su di sé, con regolarità, istante dopo istante, giorno dopo giorno, anno dopo anno. Non intendo la pratica della meditazione o solo la pratica della meditazione; intendo il semplice vivere con “porta e finestre” sempre ben "aperte".
Se noi lasciamo le aperture verso il mondo, verso gli altri, spalancate è come se dichiarassimo chiaramente che non abbiamo nulla da temere nei confronti di noi stessi e di ogni altra persona e/o evento della Vita. Questa apertura d’animo, questa propensione ad accettare la Luce in noi, compie nel tempo un lavoro di pulizia ed energizzazione senza eguali. Vivendo su queste lunghezze d’onda, l’Universo ha più possibilità di raggiungerci per aiutarci o, semplicemente, esaudire i nostri desideri.
È come se accettassimo la nostra Natura divina sulla fiducia, cioè anche in assenza di “prove” certe, in virtù di un sentire interiore molto profondo, come una traccia di ricordo molto labile ma degna di nota.
Questa fiducia corrisponde a quello che le religioni hanno chiesto unilateralmente nel corso della loro storia costituita da promesse basate proprio sulla “fede”. L’atto di fede richiesto ha però contribuito ad allontanare da se stessi e, dunque, dal lavoro “io sono”, al fine di agganciare una struttura “celeste” che risiede al di fuori di noi e che ci ha pressoché abbandonati per delle presunte “colpe” di natura ancestrale:
“Padre nostro che sei nei cieli…”
La “fede” che viene richiesta di sviluppare è un atto di sottomissione ad un principio “oscuro”, non chiaro, e determina la perdita del nostro potere personale, della nostra energia, della capacità, volontà, senso, dell’esercizio “io sono”.
È come votarsi ad uno degli innumerevoli “santi” al fine di ottenere la “grazia”.
Quando leggiamo della legge d’attrazione, allora cosa significa? Se accettiamo di credere che esiste, come possiamo inquadrarla se la rifiutiamo aggirandola? Una intercessione superiore dovuta ad una preghiera rientra ancora nel campo del risultato della legge d’attrazione. Come dire: in un modo o nell’altro ottengo quello che voglio (la grazia), però la modalità di usufruizione ci contraddistingue.
Appellandoci ad “altri” gli cediamo la nostra “santità”, rimanendo imbrigliati in un “terreno” energetico molto complesso e irto di conseguenze negative.
Appellandoci al nostro potere divino, al nostro sé superiore, le implicazioni sono diametralmente opposte. La nostra energia rimane in noi e non viene asportata con una “cannuccia” eterica verso il “corpo” a maggiore "forza".
In caso di “risultati” non in linea con le nostre attese, in questa modalità dell’essere, dovremo solo incaricarci di “investigare” meglio tra le cause interne che non permettono la diretta manifestazione del nostro desiderio sul piano denso della realtà percepita. Stiamo parlando di cause “sensate” atte a spingerci sempre e solo sul sentiero evolutivo personale:
- karma
- libero arbitrio
- scelte animiche legate alla singola incarnazione.
Delegando ad “altri” il nostro potere accettiamo di farci condurre per “mano”, conferiamo la nostra fiducia, ci svuotiamo di infinite altre possibilità e, progressivamente, ci “addormentiamo”, proprio come rappresenta il funzionamento frattale di un occhio "sano" che si adatta lentamente a seguire l’altro occhio “malato”: l'occhio "sano" lavora per un po’ di tempo per due compensando, poi inevitabilmente si accascia su se stesso seguendo il “destino” abbracciato dall’altro occhio.
L’occhio “malato” è un occhio perfetto ma “malcompreso”; una singolarità in una orchestra coordinata dalle correnti spirituali evolutive nelle vesti della genetica organica. Come tanti strati della condensazione esistenziale che “lavorano” a diverse altezze nei vari reami della manifestazione esistenziale.
Il significato della malattia di un occhio, ad esempio, è sempre legato ad un “codice” facente parte di un linguaggio, di una lingua vibrazionale che non comprendiamo più.
Esiste sempre un significato in ogni ambito del ritenuto “accaduto”. Questo significato rientra, dunque, nei termini del potere della legge d’attrazione; per cui noi attiriamo ciò a cui maggiormente siamo portati ad avvicinare attraverso la veicolazione del nostro campo “magnetico” vitale.
Il significato o la causa di un malanno all’occhio, sempre per esempio, è un fatto persino logico e comprensibile anche per una mente che non si ritiene la “dinamo” capace di innescare gli eventi. A meno che si ritenga la Natura del “tutto” completamente casuale, una sorta di roulette russa di combinazioni aleatorie senza nessun senso alcuno.
L’occhio che si ammala ci sta parlando in una lingua ormai “straniera”; ci dice cosa abbiamo fatto che ha portato a quella conseguenza. L’altro occhio che è collegato ad un altro centro di potere non colpito dalle cause che hanno coinvolto il primo occhio, è legato in stretta sinergia con il compagno e risente delle sue basse condizioni energetiche a cui viene inevitabilmente esposto. Nella prima fase avremo un senso responsabile di compensazione energetica, poi un lento adattarsi alle condizioni a cui il nostro "centro di potere" conferisce maggiore “peso”, ossia l’accettazione delle mente e dell’inconscio della “spiegazione” ufficialmente riconosciuta e del rimedio proposto: inforcare un bel paio di occhiali.
Gli occhiali segnano la “resa” anche dell’occhio normale, non colpito da una causa spirituale, non direttamente coinvolto ma indirettamente investito. Non “ascoltando” questo antico linguaggio, accettiamo di lasciarci andare sulla fiducia conferita ad una scienza del tutto transitoria sul piano dell’evoluzione incompleta dell’uomo.
Ciò che la scienza ci autorizza a credere, da questo punto prospettico estremamente lascivo, costituisce la prova più evidente del nostro smarrimento ed, allo stesso tempo, la più grande opportunità di risveglio a cui siamo mai stati sottoposti.
La prospettiva più adatta è quella di ritenere la Natura perfetta ma adattabile al nostro pensiero, il “quale” ha la capacità di modellarla a nostra immagine e somiglianza. Per cui se noi siamo addormentati, il nostro potere verrà veicolato ed utilizzato da un’altra energia. In questo modo possiamo comprendere come entrambi gli stati della dualità siano presenti, dando luogo ad una “trinità di possibilità quantiche”:
- perfezione
- imperfezione
- prospettiva presente modellata dalla loro interazione a causa del pensiero
Le “onde” della perfezione, come la Natura del nostro corpo umano o veicolo fisico, si miscelano con le “onde” dell’imperfezione, come la scienza in corso d’opera, dando luogo alla realtà manifesta ed autorizzata dal peso specifico della massa critica. Il paradigma che si manifesta, la Vita percepita, è il “terzo stato quantico” o Trinità direttamente “usufruibile”. La Trinità è un concetto, come ogni “cosa”, frattale, per cui la troviamo anche a diverse “altezze”, infatti quella che, forse, conosciamo di più, senza comprendere, è proprio quella “narrata” dalla religione.
La forma relativa è quella del triangolo che tanto si è prestato, ad esempio, per essere utilizzato come simbologia esoterica, massonica, ecc. Infatti, l’occhio che tutto vede, è proprio inscritto in un triangolo che, solitamente, è inerente alla divinità che “osserva circolarmente", ossia:
il principio divino umano che tramite la sua diretta contemplazione (campo d’azione magnetico del pensiero) interagisce, plasmando i due stadi della materia (perfezione e imperfezione) dando luogo alla manifestazione fisica “voluta” circoscritta nel triangolo di possibilità o stati quantici uniti nella fluidità consequenziale del cerchio che tutto "comprende".
In “soldoni” cosa significa? Che la “verità”, o stato perfetto, è sparsa per ogni dove. Ciò deve sensibilizzarci a non giudicare, in quanto anche ogni ambito della Vita manifesta è “sacro” perché contenente quella particella di “verità” che, almeno per un individuo, costituirà un principio guida predisposto per la sua evoluzione spirituale.
Impariamo a notare la sacralità della Vita in ogni sua minima “piega” e a rispettare ogni fratello o sorella sul cammino della comprensione di se stesso. Allo stesso tempo , non deleghiamo il nostro potere a nessuno, perché non ne abbiamo necessità. Possiamo unirci in gruppi ma senza vendere la nostra "autonomia", pena la nascita di un centro di potere aspirante la nostra energia come espresso da ogni associazione o organizzazione umana che richiede costantemente di noi per “funzionare” di cui l’esempio più eclatante è proprio l’Antisistema.
Tramite l’esercizio “io sono” ogni cosa giunge a noi attraverso un senso, una direzione, una volontà immaginativa.
Senza l’esercizio “io sono” ogni cosa giunge a noi, dove per “noi” dobbiamo immaginare una potente calamita rotonda che rotola giù dalla montagna, attirando a sé tutto ciò che indistintamente "aggancia" lungo il proprio cammino non irregolare, ma dettato dalle leggi fisiche planetarie che, non sempre, corrisponde al percorso che si vorrebbe intraprendere di propria iniziativa.
Adesso il mio ragionevole dubbio è sciolto…