C’è come l’impressione di “dover scalare una montagna (altissima ed imponente)”. Nel “fare” cosa? Nel trovare il modo di mettere ordine tra i pensieri, le idee, l’intenzione e… tutto quello che si “sente” dentro, in profondità, laddove non ci sono più pensieri, idee, intenzione, etc. bensì… “immagini”:
il “sentire di/che…” è, infatti, qualcosa che esula da ogni tipo di classificazione.Anzi, che la tradizionale forma di classificazione “qua, così”, imprigiona, non appena recinta - attraverso la propria “legge” - il “significato” che (deve avere) “ha”, persino, il tal “stato d’animo”.
Per questo motivo, non c’è più universalmente un accordo significativo relativamente al termine “intelligenza”. La scienza (deviata), ovviamente, ha già detto la propria ma (ma) anche tale “comunità” è auto suddivisa, allorquando va a definire la “parola” intelligenza.Un atto “dovuto” che, per il semplice motivo di sussistere, rende l’oggetto di studio (attenzione, classificazione, riduzione, etc.) alla mercé dell’osservazione (di/in parte), che ha la pretesa di inquadrare la situazione, andando a conferirle il proprio “colore”.
Non appena si “ordina” uno stato di fatto, secondo una certa inclinazione, lo stesso stato di fatto si trasforma di/in conseguenza:
quando, all’opposto, questo non succede?