"Ascolto in psicologia è uno strumento dei nostri cinque sensi per apprendere, conoscere il tempo e lo spazio che ci circonda e comunicare con noi stessi e il mondo circostante. L'ascolto è un processo psicologico e fisico del nostro corpo per comunicare ai nostri neuroni, al cervello che li traduce in emozioni e nozioni".
Fonte: Wikipedia
Il meccanismo è evidentissimo nei bambini capricciosi o piuttosto nelle imprecazioni dei genitori – “non ascolti mai”. È assodato che il meccanismo degli specchi è sempre in atto, in ogni momento della nostra vita, pertanto quando, in questo caso, un genitore riflette al proprio figlio un tale “sentimento” lo fa proprio per rimarcare un comportamento ritenuto erroneo. Sta al bimbo sul camino della vita, comprendere che quelle parole giungono solo per lui e solo per il suo bene; sono i diretti riflessi che giungono dalla sua anima per lui, dall’energia cosmica, dall’amore del Creatore. L’ologramma è il modello strutturato dell’Universo; nell’ologramma “bimbo” infatti vi è l’intero manifestato nella sua individualità, solo che manca la consapevolezza; per compensare progressivamente questa mancanza, i riflessi giungono a segnare il passo, il cammino verso l’evoluzione del singolo e del tutto relativo. Quando comprenderemo che in ogni istante gli specchi ci parlano di noi, in ogni modo possibile ed immaginabile, il nostro percorso diverrà esponenziale verso la luce, dando luogo al balzo quantico dell’umanità.
Nel “non ascoltare” è insito il riflesso dell’ego.
Il discorso non cambia anche per le generazioni di bimbi indaco, cristallo, arcobaleno, infatti anch’essi non esulano dalle leggi universali in vigore, anzi, nella loro coscienza elevata sta anche la loro maggiore ipotetica fragilità ( o possibile senso di smarrimento ); in maniera ancora più determinante dovrebbero maturare la consapevolezza della legge degli specchi riflessi…
Un cervello che agisce e dunque comprende, come scrive nel suo libro ( il neurologo in odore di Nobel Giacomo Rizzolatti, che ha scoperto i neuroni specchio. Una scoperta raccontata assieme al filosofo Corrado Sinigaglia nel libro “So quel che fai – il cervello che agisce e i neuroni specchio”, da poco pubblicato da Raffaello Cortina editore ).
Alla base della nostra conoscenza c’è il fatto che sappiamo fare delle cose. Da questo poi si costruisce tutto il resto. Se le vediamo fatte dagli altri le comprendiamo. Esistono due tipi di conoscenza: una è scientifica, oggettiva, l’altra è esperienziale. Questa è la nostra vera conoscenza, quella basata sul sistema motorio e sulle nostre esperienze. L’altra è una conoscenza molto importante, ma successiva.
Come avete scoperto i neuroni specchio?
È successo all’inizio degli anni Novanta. Noi studiavamo le scimmie, usando un metodo diverso da quello americano. Piuttosto che studiarle in gabbiette dove dovevano magari pigiare un pulsante, abbiamo cercato di studiare il loro sistema motorio in un ambiente etologico più simile alla realtà. Siamo partiti, al contrario degli americani – che per ottenere i grant per forza tendono a prediligere i paradigmi vigenti – dalla considerazione che probabilmente i neuroni funzionavano in maniera più complicata di quanto non si credesse.
Qualcosa di nuovo infatti lo avete scoperto…
La prima cosa che abbiamo scoperto è che alcuni di questi neuroni non sparavano (cioè si attivavano, n.d.r.) in relazione a un dato movimento (chiudere la mano, piegare il braccio, ecc), ma in relazione a uno scopo (afferrare un oggetto, ad esempio). Una conferma ci viene da un esperimento in corso, in cui abbiamo ideato uno strumento che può essere attivato sia aprendolo che chiudendolo con due movimenti opposti. Ebbene, i neuroni che sparano sono esattamente gli stessi.Ma la cosa più stupefacente che abbiamo visto è che il neurone sparava sia quando la scimmia compiva una azione – portare il cibo alla bocca – sia quando era lo sperimentatore a compierla. Una specie di dialogo fra noi e loro. Una cosa mai osservata prima, che ci lasciò perplessi.
E poi?
All’inizio pensavamo che la scimmia in qualche modo volesse imitarci. Ma la scimmia rimaneva immobile. E soprattutto gli etologi ci hanno detto che le scimmie non sanno imitare. Incidentalmente mi piace sempre sottolineare come l’imitazione sia una cosa bellissima. Prima i bambini devono imitare, solo dopo possono diventare creativi.
Così siete arrivati all’idea del neurone specchio? Un neurone motorio che si attiva sia quando si compie una azione, sia quando la si osserva. Insomma: i neuroni servono per imparare?
Alcuni filosofi non ci amano per questo. Pensano che minimizziamo il ruolo del linguaggio. Noi però non diciamo che c’è una sola maniera per imparare: c’è un meccanismo arcaico che c’è negli animali e c’è in noi. Poi ovviamente ci sono meccanismi di ordine cognitivo superiore che si integrano con questo. Ma grazie al neurone specchio la scimmia non solo capisce quello che facciamo, ma lo può prevedere. Quando mi vede prendere in mano il cibo, nella scimmia sparano anche in successione i neuroni dei movimenti della bocca. In qualche modo dunque una funzione psicologica così complicata come l’intenzionalità può essere spiegata con un meccanismo neurale semplice.
Il comprendere viene prima del linguaggio?
Sì, come avviene per i bambini. Ma il linguaggio si basa anche esso sulla capacità di imitare, che a sua volta si basa sul sistema dei neuroni specchio. Non basta. Oggi stiamo studiando anche i bambini autistici. E stiamo scoprendo che non solo il loro sistema specchio è deficitario, ma anche che hanno una difficoltà nell’organizzare il loro stesso movimento, la catena dei movimenti che negli altri porta all’attivazione dei muscoli della bocca subito dopo aver afferrato il cibo. Una ulteriore conferma del legame fra il movimento, i neuroni specchio e il meccanismo di empatia fra noi e gli altri.
Il manifesto – 31 ottobre
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