“…Ho come perso un po’ il filo… ché avevo intenzione di parlare dell’irrequietezza e della preoccupazione e del dubbio, ma poi ho pensato che avrei parlato del mio approccio alla presenza mentale. Semplice, ma può essere difficile da mettere in parole. È qualcosa che io vedo come un’esperienza al di là delle parole…”.
Stavo iniziando a leggere questo pdf trovato in “rete”, quando mi è balenata la sensazione esatta di cosa sia una “immagine” e quasi di doverlo scrivere come autentico “dovere”. A dir la verità l’idea era già viva, oppure è nata durante la notte, nel sonno, e chissà in quale “regno” della coscienza multidimensionale. Mi sono svegliato questa mattina con una frase nella testa “La potenza delle immagini” e, mentre dormivo, era tutto talmente chiaro che, quella parte di me agganciata ancora al “controllo” di tipo inconscio, pensava – “Non ho bisogno di svegliarmi perché è tutto chiaro, non ho bisogno di prendere appunti perché me lo ricorderò ancora, una volta sveglio”. Ebbene quella “immagine” che recava in sé il significato olografico del “senso” di quella vera e propria trasmissione di “sapere”, una volta sveglio, è letteralmente svanita. La sua essenza più profonda o, a tuttotondo, è scomparsa lasciando dietro di sé unicamente una scia di emozionalità. Il vago sentire, come un umore legato addirittura al palato, di quello che era stata. Da questa “avventura” senza nome, ho tratto il desiderio di “attorcigliarmi” attorno alla dimensione ed al senso intimo che descrive la visione di una “immagine”.
"Un'immagine è una metodica di rappresentazione secondo coordinate spaziali indipendenti di un oggetto o di una scena. Contiene informazioni descrittive riferite all'oggetto, alla scena che rappresenta: un'immagine è quindi una distribuzione (che può essere bi o tri-dimensionale) di un'entità fisica. Il linguaggio delle immagini è intrinsecamente indeterminato, evocativo, dotato di segni che assumono valore simbolico in relazione al significato che attribuiamo a ciò che osserviamo o al valore pragmatico degli scopi della comunicazione.
La computabilità delle immagini invece risulta ben definita e formalizzata:
- Analisi di immagini
- Sintesi di immagini
Fonte: Wikipedia
Chiediamoci quale sia la “sorgente”, gli “oggetti della scena” ed il “sensore” quando siamo immersi nello stato del sonno. Ecco la mia interpretazione:
- sorgente = energia a livello dell’anima
- oggetti della scena = il contesto creato dalle nostre “domande”
- sensore = la nostra attenzione consapevole a livello dell’inconscio (non è un paradosso a questo livello, perché interfacciamo solo termini relativi al linguaggio della veglia in un mondo dove il linguaggio stesso perde le proprie connotazioni relative al significato della comunicazione; dove in pratica non descrive nulla al di fuori della propria funzione di “interfaccia” tra uomo e uomo)
Manca dunque la vera volontà di ricordare e riportare le informazioni da questa parte del “velo”. L’area preposta allo stoccaggio dei “dati” esiste eccome, non è questo il problema. È sufficiente analizzare la modalità con la quale internet offre spazio gratuito ad una mole impressionante di informazioni giornaliere. Dove si collocano in realtà tutti questi dati? Nelle macchine preposte al loro stoccaggio. E dato che l’uomo è un frattale del Creatore, l’uomo ha creato il frattale stesso della creazione e, in questo, ha trovato il modo di simulare i registri Akasici, nei quali è impresso ogni istante di ogni nostra vita. Il problema non sono i mezzi, ma la volontà di utilizzarli, perché il nostro focus di consapevolezza determina la stesura del programma di Vita…
“La teoria della computabilità effettiva si occupa della esistenza o meno di algoritmi risolutivi di problemi. Fra i suoi fondatori vi è Alan Turing. Una funzione si dice computabile se esiste un algoritmo che la calcola. Esistono molte formulazioni di ciò che è un algoritmo. La nozione di computabilità traduce rigorosamente, tramite la nozione di funzione e la nozione di algoritmo, la possibilità di svolgere un certo tipo di compito ovvero risolvere un certo tipo di problema applicando un procedimento meccanico pre-stabilito. È molto importante sapere se un dato lavoro può essere svolto da una macchina, ovvero da una persona non in grado di prendere decisioni autonome, oppure è richiesta la presenza di una persona chiamata a decidere caso per caso, o almeno nei casi più difficili, correndo anche il rischio di sbagliare. Molti problemi possono essere risolti dalle macchine, ma ne sono noti alcuni non risolubili da nessuna macchina”.
Fonte: Wikipedia
Volontà come algoritmo che risolve la funzione del ricordo. Volontà di estendersi oltre le armoniche della confusione e dell’illusione alla quale è sottoposto l’uomo-macchina:
“È molto importante sapere se un dato lavoro può essere svolto da una macchina, ovvero da una persona non in grado di prendere decisioni autonome, oppure è richiesta la presenza di una persona chiamata a decidere caso per caso, o almeno nei casi più difficili, correndo anche il rischio di sbagliare”
L’anima, correndo il rischio anche di sbagliare (libero arbitrio), assiste la sua estensione più densa che è impegnata nell’arduo compito esperienziale, molto “lontana” in termini di frequenza e difficilmente contattabile a causa delle “tempeste” vibrazionali dovute alla bassa densità dell’energia. Cosa ci porta all’evidenza, per analogia, questa “immagine” appena descritta?
Una missione dell’uomo nello spazio con lo scopo di atterrare su un altro pianeta per conoscerlo. Dalla base spaziale a terra, l’uomo controlla l’uomo tramite sistemi inventati dall’uomo, i quali hanno in questo momento un ruolo di importanza fondamentale per il buon esito della missione. Ma dietro alla missione cosa spinge la missione stessa? Ancora l’uomo che è mosso dalla volontà di esplorare il cosmo. Perché? Perché l’uomo è un frattale del Creatore…
Quante informazioni racchiude in sé la visione di una immagine? Guardiamo la Terra dallo spazio e pensiamo a quanti “livelli” contiene una simile scena. Penso di avere reso l’idea, no?
“Ho citato un altro esempio usato da Ajahn Chah: l’immagine di un’unica sedia in una stanza. Immagina di essere seduto su quest’unica sedia in una stanza, con vari ospiti che vengono nella stanza e cercano di farti spostare. Arriva una splendida donna, se sei un uomo, o un bell’uomo, se sei una donna, e cercano di farti spostare dalla tua sedia. Tentano di sedurti allo scopo di farti cedere la sedia – “Dai, alzati da quella sedia” – ti dicono. Tu li vedi arrivare ma resti sulla sedia. Loro possono trattenersi per un po’, danzando davanti a te, ma tu resti fermo al tuo posto. Dopo un po’ di tempo, tanto o poco che sia, gli avventori si rendono conto che non hai intenzione di mollare la sedia, e allora sono loro ad andarsene. Dei mostri potrebbero poi venire a tentare di terrorizzarti per farti cadere dalla sedia, ma uno prende la risoluzione di non muoversi fino a quando anche loro non abbiano desistito dal loro intento e se ne siano andati. Semplicemente conoscerli, ossia essere testimone del loro giungere e andar via. Basta questo. Nel corso del tempo, sarà sempre meno quello che ti verrà a disturbare. Non vuol dire che loro smetteranno di venire. È che non riescono a farci spostare. Si potrebbe dire che diventano irrilevanti. Quando mi guardate, o io vi guardo, in questo c’è un conoscere. Questo conoscere è già presente in noi, ma quello che succede è che si presentano le sensazioni e i pensieri con cui ci identifichiamo, e sono loro a scalzare noi anziché noi a conoscere loro con il semplice stare fermi su quella sedia, lasciando che se ne vadano pacificamente”.
Fonte: Il terreno di mezzo della presenza mentale, ovvero mantenere la mente tra il mi-piace e il non-mi-piace. Di Ajahn Vimalo, da discorsi tenuti a Settefrati il 22 e il 27 luglio 2007