Il vuoto e l’ostacolo. Cosa rappresentano questi due veri e propri mondi? Sembrano essere innanzitutto legati ad un “perno centrale”, un vincolo che li trattiene a sé come dei satelliti ad un pianeta: la ragion d’essere. Il senso. Il perché.
Quale è la loro "collocazione", la loro identificazione nella dimensione umana? L’essere d’utilità. Dove per utilità s’intende una movimentazione delle energie, atta a risvegliare un potenziale.
Ecco che queste due polarità, tanto estreme, riescono allora a “toccarsi”, a compenetrarsi l’un l’altro. Sorge evidente un piano netto, deciso, un progetto sensato di appartenenza. Nel vuoto che siamo abituati a definire come il “nulla”, l’assenza d’ogni “cosa”, esiste il potenziale del “tutto”. Nell’ostacolo che siamo abituati a definire come una “ostruzione” al nostro cammino, è contenuto il “tutto” relativo alle nostre potenzialità inespresse o in via di espressione.
L’ostacolo è un “colpo di frusta”, una sferzata di nuova energia che trae origine dal nostro profondo.
Il “colpo” che muove l’ostacolo davanti a noi necessita della nostra energia, perché è una nostra creazione. Tale energia deriva dal nostro vuoto, dal nostro inconscio incompreso. Tale energia ci viene richiesta come "diritto di contrappasso". Come un caffè che “risveglia” utilizzando le nostre riserve d’energia e non un surplus esterno. Gli ostacoli ci spossano perché utilizzano la nostra scorta, ma essi stessi costituiscono il principio sul quale costruire nuovi ponti per raggiungere una meta, un “qualcosa”. Proprio quella serie di “qualcosa” contenuti ed estratti dal vuoto. Gli ostacoli sono “Made in Vuoto”: la loro origine è ivi collocata.
Il termine “vuoto” ha, nell’uso corrente, significati più concreti, come ad esempio i concetti frattali di:
- vuoto a rendere - un contenitore che, privato del proprio contenuto, può essere reso, in cambio di un compenso, in modo da poter essere nuovamente utilizzato. Si tratta di una forma di riciclaggio.
- vuoto a perdere - un contenitore privato del suo contenuto che non può essere reso. Un vuoto a perdere rappresenta una zavorra, qualcosa di inutile e di cui si sente il bisogno di disfarsi.
Sono queste due facce, i due soliti opposti caratterizzanti la dualità. Il vuoto è un “contenitore” a cui non possiamo che accedere in maniera “sottile”. Il vuoto eroga potenziali. Il vuoto è sempre pieno, non si svuota mai. Il vuoto è carico di potere che deriva dalla nostra divinità. Nel vuoto esistono tutte le versioni di noi stessi. È come il cilindro magico di un mago. Il vuoto può essere una zavorra o una piuma, a seconda del nostro punto prospettico ma, in ogni caso, è il conferimento di una energica possibilità di essere. Il vuoto è una nostra estensione come noi lo siamo del vuoto, come l’ostacolo lo è sia del vuoto che di noi stessi e di come noi stessi lo siamo del vuoto e dell’ostacolo.
È un’altra forma di Trinità, dove abbiamo i principi “genitoriali” e la loro proiezione densa nell’uomo come diretto risultato di una interazione, di un attrito senza sfregamento e senza distanza.
Il cerchio è la figura che meglio contraddistingue il perimetro delineato dalla loro interazione. Il triangolo inscritto nel cerchio. Due triangoli capovolti ed avvolti dalla circonferenza. Un rombo in un cerchio. Schiacciandolo ai vertici diventa un quadrato in un cerchio.
La quadratura del cerchio.
Saper coesistere, equilibrando l’ottava rappresentata dal vuoto e dall’ostacolo è un’arte di Vita. L’equazione che deriva rappresenta ciò che siamo e ciò a cui aspiriamo. L’equivalenza è la direzione verso cui siamo sottesi. Come partire per un lungo viaggio marino, da un porto che contiene già l’estratto di tutto il nostro viaggio che ci stiamo accingendo a vivere.
Perché facciamo quel viaggio se il suo potenziale, il suo insegnamento è già in noi, nel nostro “vuoto”?
Perché è il viaggio ciò che va "assaporato"; la lenta progressione tra e oltre gli ostacoli. Ostacoli che ci plasmano e ci identificano.
La “frustata” ricevuta è un propellente che toglie energia ma addensa un potenziale, rendendoci “stanchi ma felici”.
Stanchezza che in seguito scompare, sostituita dalla gioia per il viaggio, per la realizzazione dell’essere sulla cresta dell’onda, mai separati dalla “costa” eppure lontani da ogni convenzione capace di innescare la paura e la separazione.
Non è mai troppo tardi per questo e per infinite altre bellezze…
Se io potessi vivere un'altra volta la mia Vita
nella prossima cercherei di fare più errori
non cercherei di essere tanto perfetto,
mi negherei di più,
sarei meno serio di quanto sono stato,
difatti prenderei pochissime cose sul serio.
Sarei meno igienico,
correrei più rischi,
farei più viaggi,
guarderei più tramonti,
salirei più montagne,
nuoterei più fiumi,
andrei in posti dove mai sono andato…
Istanti di Jorge Luis Borges