Il mito della Fenice è inerente alla 'qualità divina del genere umano', ossia alla sua innata capacità di ‘sopravvivere a se stesso’.
Mentre il concetto di 'sopravvivenza 3d' è legato all’ambito della mancanza di consapevolezza, quello della 'sopravvivenza spirituale' va ben oltre alle limitazioni 'auto impostesi' nell’esperienza multipla della reincarnazione sulla Terra Antisistemica. Se, poi, l’Araba Fenice fosse una trasposizione di un ‘fenomeno’ molto più concreto di quello che si possa immaginare, come ad esempio, quello che 'è rimasto' della descrizione di antichi visitatori venuti sul Pianeta, nulla toglie né cambia alla potenza evocativa della rappresentazione dell’animale simbolo della rinascita e del rinnovamento.
Che sia stato un animale o una entità, un’astronave o un luogo, il suo significato rimane sempre quello:
l’eternità insita in noi. La particella divina che ci ‘anima’.
‘Già Marziale, Ovidio, Plinio il vecchio, Tacito la usano per esemplificare il concetto di eternità, di ritorno ciclico, continuo… Tutto quello che poteva servire a comunicare in maniera semplice e accessibile concetti particolarmente difficili’.
Figurarsi che il sacro uccello venne usato - da Rufino di Aquileia - a dimostrazione di quell'altro mistero che, allora, lasciava perplessi assai: Maria vergine ma anche madre.
Rufino: ‘E d'altra parte perché sembra strano che una vergine abbia concepito dal momento che l'uccello d'Oriente, che chiamano Fenice, si sa che nasce e rinasce senza coniuge e, nascendo e rinascendo, succede sempre a se stesso?’.
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Maria, vergine ma anche madre:
ci troviamo di nuovo di fronte alla simbologia legata al Tao, a quello che io ho chiamato ‘terzo stato quantico dello Zen’, ossia alla nostra facoltà di equilibrare la dualità mediante la nostra centratura continua nell’eterno attimo presente.
In quantistica equivale al concetto di 'on/off' allo stesso tempo, dando luogo all'unificazione della polarità:
- on
- off
- on/off.
Stati sovrapposti di energia che danno Vita alle dimensioni per diretta differenza vibrazionale. O, meglio, non ‘che danno Vita’ ma che ‘permettono di raggiungere’. La distanza è infatti solo una differenza strutturale espressa dalla differenza di vibrazione tra osservatore e osservato, che equivale alla ‘qualità’ della vibrazione individuale profonda.
Un po’ il concetto di ‘viaggio nel tempo’ e di ‘teletrasporto’.
È come se, attraverso la propria centratura, si potesse raggiungere un ‘altro Mondo’. Come chiudere gli occhi e ritrovarsi da qualche altra parte. L’individuo è un essere multidimensionale fondamentalmente. La sua ‘forma’ attuale è una concettualizzazione appartenente alle 3d, un avatar specificamente adattato per l’usufruire dell’esperienza 3d. Ma la ‘realtà’ è molto più ‘vasta’ di quello che i sensi provvedono a filtrare e calibrare in virtù dello ‘stare qua’.
Siamo delle splendide opere d’intelligenza spirituale.
Ora, mi viene spontanea una riflessione:
la figura della Fenice racchiude la ciclicità, il rinascere e può costituire una ‘trappola’ se ci si limita ad osservarla esclusivamente da questa prospettiva. In realtà, la Fenice rappresenta l’eternità che si concentra nella ciclicità al fine di maturare e/o raggiungere un certo livello della consapevolezza o della maturazione evolutiva, ma in quanto ‘eterna’ è libera di potersi svincolare dalla ‘trama ciclica’ in cui si è auto installata.
Senza questa ‘accortezza’ la Fenice rimane prigioniera di se stessa e, dunque, delle entità predatrici/parassite che conoscono la sua missione ‘esplorativa’.
Allarghiamo la ‘visuale’. La Fenice ci rappresenta in quanto particelle Divine, o Human Bit, della Creazione.
Perché ho utilizzato il termine ‘allargare la visuale’? Perché occorre abbracciare le ‘cose’ da un punto di vista 'superiore', al fine di capacitarsi della vera essenza dei ‘messaggi’ raccolti e 'celati' dagli Antichi per gli stessi Antichi, che altri non sono che gli uomini e le donne ‘moderni’: noi.
'Celati' sino al giorno in cui la ‘caduta’ si sarebbe arrestata e l’umanità fosse tornata nuovamente a ‘vedere’.
Ciò lo si evince continuando a leggere la citazione:
la Fenice grazie a quell'aggettivo ‘araba’ rimaneva un prodigio esotico ma ormai targato sempre e solo Oriente. Giusto grattandone a fondo l'etimologia - oggi che si conosce il fenicio e l'accadico - potrebbe tornare ad essere il simbolo del Tramonto mediterraneo e di Osiride, com'era già per gli antichi Egizi.
André Cherpillod nel suo 'Dictionnaire étymologique' scrive: ‘‘Arabia? Potrebbe apparentarsi al radicale ‘garb’ ovvero ‘Occidente, Maghreb...’. E siccome invita a guardarsi pure ‘Maghreb’, eccole le sorprese dell'arabo ‘Maghreb’: ‘... Apparentato all'accadico ‘erepu’, al fenicio ‘ereb’, all'amorreo ‘me'erab’ ovvero ‘sera, ovest’’. Proprio la stessa etimologia di Europa, ovvero Tramonto.
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Chi poteva definire il conglomerato europeo o una qualsiasi zona della Terra con un nominativo geografico? Solo chi aveva una visione 'superiore', ed in questo caso intendo proprio un tipo di visione dall’alto, proprio come degli antichi visitatori provenienti dallo Spazio.
Ricordiamo sempre che ogni localizzazione geografica è senza riferimenti se non si osserva ‘triangolando’ dall’alto.
Infatti chi può definirsi a nord o a sud di qualcos’altro? È solo un punto di vista individuale.
Mentre se si analizza una situazione dal ‘cielo’, prendendo a riferimento dei punti ‘fissi’ come le Stelle o il Sole, allora tutto assume una connotazione più ‘precisa e stabile’, perlomeno dal punto di vista temporale e fisico umano.
L’etimologia deriva direttamente da una visione extraterrestre.
Il ‘punto di vista temporale’ introduce nell’ambito ciclico dell’osservazione di ogni fenomeno 3d:
se vogliamo studiare approfonditamente i cicli di borsa, allora sicuramente il libro ‘The Profit Magic of Stock Transaction Timing’, pubblicato nel 1970 da Hurst, è una delle migliori pubblicazioni ancora oggi presenti.
Hurst nel suo testo introduce un vero e proprio modello ciclico completo che può porsi come importante punto di riferimento per tutti coloro che vogliono andare ad analizzare e ad approfondire il concetto dei cicli.
Hurst afferma che i cicli borsistici si basano su cinque principi:
- principio della somma, ovvero i movimenti ciclici che ci sono nel mercato sono il risultato della somma di diversi cicli;
- principio della comunanza, ovvero i cicli sono comuni a tutti i mercati. Questo significa che le caratteristiche basiche dei cicli sono uguali per tutti ed hanno per ogni mercato una certa durata ed una certa intensità di movimento;
- principio della nominatività, che indica una durata nominale per ciascun componente comune ai cicli di diversi mercati. Questo principio si lega strettamente al principio della comunanza e lo completa;
- principio della proporzionalità, che ci dice che maggiore è la durata di una componente del ciclo e più grande è la sua forza;
- principio della variazione, che indica che tutto quanto è stato esposto nei quattro principi precedenti è vero ma non è necessariamente sempre così, ovvero può cambiare e mutare. Questo significa, ad esempio, che il punto di massimo o di minimo di un ciclo possono variare con il passare del tempo, così come la durata del ciclo stesso, che può essere diversa di volta in volta.
Hurst conferma che riuscire a comprendere in pieno l’importanza e la durata dei cicli dei mercati permette al trader di avere un grande vantaggio nei confronti degli altri soggetti e del mercato stesso.
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Questo è il punto di vista di una entità parassita.
Questa è la fotografia che costei è in grado di avere del ‘panorama’ sottostante. È molto più completa di quella che ha, mediamente, un essere umano, no?
Sino a quando non si accetta di ‘aprire gli occhi’ e di smettere di continuare a ‘sopravvivere a se stessi’.
Il quinto principio introduce valenze quantistiche e sancisce la viva presenza del cambiamento e della biodiversità, mentre il concetto di libero arbitrio rimane soggettivo e dipendente dal grado di libertà concesso dal livello superiore che amministra, veicola e controlla.
È giunta l’ora di svincolarsi persino da una stretta terminologia abitudinaria legata ai concetti ‘sacri’ di Karma e libero arbitrio, reincarnazione, etc.
Diciamo che il ‘tutto’ è inserito in prospettive cicliche che determinano le ‘ampiezze’ dei ‘vortici’ sottostanti.
Non c’è nulla di ‘preciso’ e di eterno, ma esiste una miscellanea di possibile adattamento/cambiamento, proprio come l’evoluzione tridimensionale delle specie viventi è stata ‘mappata’ da Darwin, pur non avendo scattato una ‘diapositiva’ completa del livello globale animico.
Vero e falso non esistono.
Esiste il nostro punto prospettico caratterizzato dalla nostra consapevolezza ed, infine, esiste la nostra vibrazione d’essere, che ‘colora’ una certa realtà condivisa in termini probabilistici e comunque soggettivi. Ecco la ‘prova’:
le differenti lunghezze d'onda vengono interpretate dal cervello come colori, che vanno dal rosso delle lunghezze d'onda maggiori (frequenze più basse) al violetto delle lunghezze d'onda minori (frequenza più alte)…
Non a tutti i colori possiamo associare una lunghezza d'onda precisa. Non c'è, cioè, una relazione biunivoca tra i colori che noi percepiamo e le lunghezze d'onda. Quasi tutti i colori che ci vengono dall'ambiente, cioè, non sono puri, ma sono in realtà una sovrapposizione di luci più lunghezze d'onda.
Se ad ogni lunghezza d'onda è associabile un colore, non è vero il contrario.
Quei colori a cui non sono associate lunghezze d'onda, sono invece generati dal meccanismo di funzionamento del nostro apparato visivo (cervello+occhio)…
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Il ‘meccanismo cervello+occhio’ è il nostro lato soggettivo, la nostra firma energetica, ciò che il nostro ‘lapis magico’ capta e deduce di quello che, opportunamente filtrato, lo attornia.
Ciò che ‘giunge dal cielo’ è ‘ideale’, mentre ciò che elaboriamo noi è ‘pratico. Il nostro 'osservatorio' è il punto dove si concretizza la conversione ‘Cielo-Terra’.
Vero e falso non esistono, ma rappresentano una scala di possibili ‘valori’ o frequenze di 'auto percezione installante' nelle 3d, a cui noi diamo maggiore o minore ‘peso’ attraverso il nostro ‘credo’.
Ora, se qualcuno che osserva da un punto a ‘migliore prospettiva’, vedesse e sapesse a 'cosa stiamo andando incontro', potrebbe prendere un grande vantaggio dalla rilettura prospettica dell’intera situazione inerente al genere umano.
Esiste molto di più rispetto a quello che i sensi riescono a captare:
la luce visibile è una porzione dello spettro elettromagnetico compresa approssimativamente tra i 400 e i 700 nanometri (nm) (nell'aria)...
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Per la percezione esteriore, il mondo spirituale appare nascosto, velato. Caratteristica dello spirituale è che l’uomo può riconoscerlo solo se si sforza, almeno in piccola misura, di diventare egli stesso diverso da come è in partenza.
Lo studiare ed accogliere solo sotto forma di nozioni le verità antroposofiche lasciandole agire su se stessi, pur senza sottoporsi ad una rigida disciplina esoterica, fa mutare la propria anima.
Si cambiano abitudini, interessi: ci si autoeduca. Diventiamo diversi.
Già partecipare con tutto il cuore e con il sentimento ad uno studio scientifico spirituale significa iniziare uno sviluppo esoterico. L’esoterismo non inizia solo con la pratica occulta: inizia con lo studio e la partecipazione del sentimento ai contenuti occulti.
Si attua una trasformazione dell’anima; un processo simile a quello che subirebbe un essere che abbia solo percepito il bianco e il nero, e piano piano divenisse capace di percepire i colori. L’anima si allarga, nel suo modo di percepire, divenendo capace di sviluppare di abbracciare percezioni che prima non venivano da lei registrate.
Questa autoeducazione sviluppa una determinata sensibilità nei riguardi del mondo spirituale, nel renderci recettivi verso alcuni processi che solitamente passano inosservati alla nostra coscienza: si educa l’anima ad acquisire maggiore sensibilità.
Colui che sviluppa tale particolare sensibilità vede manifestarsi dietro ad ogni impressione di caldo, freddo, di calore e di colore, dietro a tutte le leggi naturali vede apparire delle forze, delle entità spirituali. Appaiono mondi caratterizzati da entità di specie sempre più elevate.
Conferenza di Helsinki, 3 aprile 1912.
Entità spirituali nei corpi celesti e nei regni della natura - Capitolo III della serie Studi sulle opere di Rudolf Steiner a cura di Tiziano Bellucci
A cosa ‘siamo spinti’, allora? Semplicemente a camminare con le proprie gambe, in attesa di poterle ritrasformare in ali.
Da questo punto di vista esiste la possibilità che possa giungere un ‘salvatore’?
No. Non è proprio previsto.
‘Aiutati che il ciel ti aiuta’ recita la tradizione. Come al solito, le due ‘facce’ sono da 'amministrare' attraverso la nostra centratura e ‘presenza’, pena il cadere continuamente nella percezione ‘reale’ dell’alternanza ciclica e, dunque, del completo disequilibrio energetico, della mancanza di consapevolezza, e della riduzione di vibrazione dell’essere.
La ‘formula’ per l’equilibrio risiede nell’armonia del contesto umano, costituito dalla trinità corpo-mente-spirito. Non importa chi/cosa mettiamo al ‘centro’, importa il punto prospettico da cui osserviamo l’intero costrutto, ossia la nostra consapevolezza che è ‘a-geografica’… ognuno è caratterizzato dalla propria ‘ricetta’ a tal proposito…
Io mi metto ad inventare una cosa per la caduta dei capelli e per il dolore, in un paese dove uno senza capelli (Mussolini) dice che la via della salvezza si ottiene col dolore.
Da ‘Le vie del signore sono finite’ di Massimo Troisi
Davide Nebuloni/SacroProfanoSacro 2011
Prospettivavita@gmail.com